Invidia fonte d’infelicità

“Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla”, scrisse Schopenhauer. Se analizziamo la storia del mondo, è inevitabile osservare un susseguirsi di grandi opere dell’intelletto denigrate e prima o poi distrutte da un manipolo di invidiosi mediocri, che non riescono a sopportare quella grandezza. L’eccellenza deve sempre uscire indenne da un lungo cammino, prima di poter essere ammirata, allo stesso modo della verità che, sempre secondo il grande filosofo di Danzica, “passa per tre gradini: viene ridicolizzata, viene contrastata, viene accettata come ovvia”. È singolare dunque che l’invidia sia un sentimento relativamente poco studiato, e costituisca tuttora un’area piuttosto problematica per la psicologia, nonostante abbia un peso decisamente alto nel tirare le fila di ogni società. L’invidia è innanzitutto una fonte d’infelicità per chi la prova e può tradursi in comportamenti nocivi anche nei confronti dell’invidiato: non giovando a nessuno, costituisce dunque un fallimento dell’intelligenza. È infatti normale desiderare ciò che altri possiedono, o qualità personali che manifestano, il problema è come viene gestito un simile sentimento. L’invidioso è colui che vorrebbe privare l’altro di certi attributi o averi, vorrebbe danneggiarlo per ripristinare un’assurda giustizia, o cerca di negarne il valore, come se contraddire la realtà fosse un esercizio in grado di modificarla. L’intelligenza al contrario è capace di mediare un simile sentimento, trasformando ad esempio il desiderio delle qualità altrui in ammirazione, e quindi cercando di utilizzare quei modelli come sprone al miglioramento. Oppure è possibile accettare semplicemente le differenze e i sentimenti spiacevoli connessi alla loro percezione e saper sempre tenere a mente anche quegli aspetti che invece vanno a nostro vantaggio. Per questa ragione, è molto appropriato quel che scrisse La Rochefoucauld: “il segno più sicuro di essere nati con grandi qualità è l’essere nati senza invidia”. Al contrario, ogni società è impestata dell’invidia dei mediocri, che trova rassicurazione solo nel conformismo: quando viene praticata in gruppo dà origine a movimenti ideologici o politici, sostenuti da quella che diventa “invidia sociale”. Invece che voler ridefinire le regole per cui gli uomini possano competere per i premi, gli invidiosi sociali vorrebbero semplicemente sottrarre a chi ha di più, usando l’ideologia come giustificazione. Se però a livello sociale l’invidia si focalizza maggiormente sul possesso, la cosa si ribalta sul piano individuale: benché le persone invidino pressoché qualsiasi cosa, il sentimento si fa più feroce nei confronti di coloro i quali esibiscano qualche forma di virtù e qualità del carattere. Un beota arricchito in fondo costituisce per l’invidioso una casualità rimediabile: domani potrebbe toccare a lui di venir baciato dalla fortuna. Un grande spirito è invece un odioso dispetto della natura nei suoi confronti, al quale non esiste alcun rimedio possibile. Per quel che riguarda gli invidiati invece, sebbene debbano sempre sottostare a questa “imposta da pagare sul merito”, si consolino con le parole di Johan Oxenstierna: “Un mezzo sicuro di non avere gente che c’invidi, è d’essere senza meriti”.

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