Il Web, una rete… da pesca?

Sono già stati spesi fiumi di parole sulle potenzialità delle piattaforme di scambio delle informazioni e ricollocamento delle fonti che stanno rivoluzionando il pianeta, con effetti che dovremo ancora attendere molto per poterli valutare compiutamente in tutte le loro complesse conseguenze. Il “cablaggio” capillare cui viene progressivamente sottoposta la civiltà del Terzo millennio (se così vogliamo ottimisticamente definirla), sta modificando i costumi, le relazioni sociali, i rapporti tra le classi dirigenti e le popolazioni. Questo ha a che vedere con la gestione del potere, della libertà, con il privato, con l’intimità di ognuno di noi. Ha a che vedere con il concetto stesso di sapere, dei processi della conoscenza e di arricchimento. Riguarda quegli strumenti cui ognuno dovrebbe poter accedere per realizzarsi nella propria dimensione di cittadino di una comunità che però, non a caso, si chiama oggi “villaggio globale” e non “città globale”. La rudimentalità della comunicazione contemporanea tra gli individui è infatti sconfortante: dilagano modalità espressive dell’identità che attingono ai meccanismi propri della tribalità, non della piazza civile, dell’agorà, essendo però venuti a mancare, nel mondo occidentale soprattutto (ma è solo questione di tempo), i riferimenti antichi più solidi della cultura popolare, sostituiti in modo dolciastro dal consumismo omologante. Tatuaggi, piercing nelle parti più impensabili del corpo, ricerca spasmodica della muscolarità estetica fine a se stessa da mostrare nei tre mesi estivi, ma non certo come il frutto di un costume di vita olimpicamente sportivo, come disciplina quotidiana di crescita personale fisica e spirituale… E ancora sostanze chimiche per alterare gli stati di coscienza come nei rituali tribali più ancestrali, oggi declinati in riti collettivi a suon di musiche ripetitive, luci stroboscopiche e “amministrati” da moderni sacerdoti-dj. Inoltre violenza trasversale alla società e ai ceti, dalle periferie ai centri storici, dalla famiglia al posto di lavoro, alla scuola, non rielaborata ma banalmente diseducativa come nei giochi elettronici o nei cartoon imposti ai bambini fin dalla più tenera età… Il marketing gioca le sue perline colorate, agisce le sue ultime frontiere che non mirano neanche più a rispondere ai bisogni dell’homo-comsumatore, ma a creare i bisogni stessi, sempre più nuovi ma fittizi e vacui. E che dire della pochezza sommaria e volgare del linguaggio televisivo che ha fatto fare alla parola non uno ma innumerevoli passi indietro, in una nazione come l’Italia che non legge e dove il 2011 fa registrare in editoria il primo semestre peggiore, quanto a numeri, dal Dopoguerra a oggi? In tutto ciò, l’immane potenza della rete come fonte di approvvigionamento delle informazioni e strumento di socializzazione ha un suo retrogusto oscuro forse pronto a tradire i più sguarniti. Se digitate per esempio “Leonardo da Vinci” sul più utilizzato motore di ricerca, escono all’oggi in 0,08 secondi la bellezza di 3.200.000 risultati (tre milioni e duecentomila!). Si tratta di un formidabile e pericoloso paradosso. Quale rotta dovrebbe mai scegliere il navigante medio della rete per orientarsi in un personale cammino di scoperta del genio rinascimentale italiano più noto nel mondo, in un tale mare magnum di pagine, tra le quali incontrerebbe, oltre alle riflessioni di qualche ferrato studioso, una congerie infinita di banalità, inesattezze, pubblicità, siti pornografici, inutili approdi e vicoli ciechi di un illusorio sapere? Ineluttabilmente, oggi, è fondamentale una cultura del discernimento, del saper scegliere, del metodo, che non può darsi in mancanza di basi culturali e di elementi di conoscenza dalla visione più ampia. Basi che ci permettano di maneggiare uno strumento come il web con i suoi motori di ricerca che ha qualcosa in sé di meraviglioso, ma al contempo di spaventoso. Ciò a maggior ragione per la velocità con cui la tecnologia si evolve, impedendoci di metabolizzarne i cambiamenti. Se con la cultura «non si mangia», come frettolosamente affermato da un ministro della Repubblica sul cui pragmatismo ci sentiamo di nutrire inquietanti dubbi, senza cultura naufragheremo rovinosamente nel villaggio globale, finendo imbrigliati in una rete sempre più pensata per pescare branzini e merluzzi consumatori e non per connettere e far crescere i cittadini globali della nuova pòlis.

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