Bisognerebbe insegnare ai bambini il primo dei doveri: quello di essere felici. A dire il vero loro già lo sanno. Poi gli adulti li portano a contrapporre i “doveri”, come i compiti, il pranzo a una certa ora, le faccende, ai “piaceri” come il gioco. In questo modo sviluppiamo una serie di idee inconsce: che per essere felici dobbiamo prima meritarcelo, che la felicità implica senso di colpa verso chi non ha le nostre fortune, che essere troppo felici (magari diventando più sciocchi e infantili) è sconveniente, non è serio o appropriato. E così limitiamo da soli lo scorrere della felicità . Inoltre cresciamo compiacendo gli altri, il capo, i genitori, la moda, la pubblicità , gli amici.
E non ci fermiamo a interrogarci: è questo che mi rende felice? Vestire come le modelle anoressiche rende le ragazze felici? Pomparsi di steroidi rende i ragazzi felici? La carriera rende tutti felici? Abbiamo ogni genere di “dovere”, mille modi di conformarci a modelli scelti da altri, vestiti che non sono i nostri, quando la ricetta per la felicità è individuale e andrebbe cercata con la cura di un sarto meticoloso, per tentativi ed errori, ogni giorno della propria vita. Per me non c’è altro dovere da anteporre alla felicità . Nemmeno l’aiuto del prossimo. Sapete perché? Perché una persona felice e lo mostrano persino le ricerche delinque meno, offre più facilmente aiuto, è più aperta alle novità , conosce più persone, ha idee più brillanti e mediamente più successo. E aggiungo io: è anche abbastanza rara da illuminare la giornata di chiunque la incontri. Non sarete d’aiuto a nessuno se prima non siete felici voi stessi. Non cambierete il mondo in meglio se non riuscite nemmeno a cambiare voi stessi in modo da essere felici. Se volete condividere qualcosa di buono, prima createlo in voi stessi. Perciò il Buddha disse: “ Centinaia di candele possono essere accese con la fiamma di una sola candela, in questo modo la vita della fiamma si allungherà . La felicità non si esaurisce mai se viene condivisa”.
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