Natura o apprendimento? Quesito annoso e ogni psicologo ha in fondo una sua predilezione. Fin dal primo anno di facoltà è la domanda con cui lo studente di psicologia si tormenta di più perché sono tante le prove a favore sia del dna che dell’educazione e comunque l’interazione fra i due fattori è tale per cui è impossibile scinderli completamente, nonostante si tentino da decenni studi sui gemelli, sulla familiarità e via dicendo, buoni al massimo per determinare un “coefficiente di ereditarietà”, ossia la percentuale di varianza spiegata dai geni in un dato ambito, insomma un fattore probabilistico.Come tutti, anche io ho un’opinione, maturata attraverso lo studio delle ricerche, il lavoro e l’esperienza di vita, ed è che i geni contano tanto.Certo, in ogni ambito si può apprendere, ma in pochissimi si può eccellere. Il motivo è semplice: per eccellere occorre talento e pratica costante, ma se la seconda è frutto di una scelta, il primo è scritto nel dna. Così è vero che Mozart ha suonato il piano come un ossesso, Jordan ha passato le giornate a tirare a canestro migliaia di volte e Michelangelo si è dannato l’anima sui dettagli della Cappella Sistina fino a rimetterci la salute; ma se io o uno di voi avessimo impiegato lo stesso tempo, avremmo ottenuto meno di un decimo.Ma senza scomodare i casi di raro talento, il problema dei geni riguarda la vita quotidiana, perché influenza la curva di apprendimento di ciascuno. Le differenze tra individui sono sconvolgenti. C’è gente che vive in un paese straniero dieci anni e conserva un accento fortissimo o non impara nemmeno correttamente la grammatica e c’è chi in due anni impara benissimo una lingua da casa sua. Parliamo di musica: ho potuto assistere a differenze spaventose. Ci sono persone per cui l’apprendimento di un giro di accordi è impresa titanica. Non sentono il ritmo, non sentono la nota, non si rendono conto nemmeno se stanno eseguendo correttamente o no. Altri evolvono apparentemente senza sforzo.Sono il primo a dire che la persistenza paga. Sono il primo ad amare gli slogan del genere “never give up”. Mi appassionano i racconti motivazionali. Penso che chiunque non sia disposto a mollare possa ottenere grandi risultati. E’ vero anche che spesso la persistenza è l’unica differenza tra chi fallisce e chi arriva al successo. Ma non sempre. Perché penso anche che i geni contino tanto e quindi, se dovessi creare un mio aforisma motivazionale, sarebbe questo: “la persistenza paga. Ma solo se applicata a ciò per cui siete inclinati. Quindi trovate la vostra strada, quello per cui siete davvero tagliati. E da lì in poi non mollate. Mai”.
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