Gavetta

gavettaSoffocare il merito in Italia è una forma mentis.

Me ne sono reso conto parlando con italiani che hanno posizioni manageriali in patria e italiani all’estero.

I primi sono ostili e invidiosi nei confronti del giovani e gli vogliono fare ingoiare quello che probabilmente hanno ingoiato loro.

I secondi hanno una mentalità tutta “american dream” che con l’Italia non c’entra più nulla. Ad esempio un giovane manager italiano che ha fatto carriera all’estero mi suggerì: tu porta il curriculum ad una azienda e dille “io ti seguo un progetto all’estero, qualsiasi, mi fai un contratto di solo un anno”.

Si era chiaramente scordato come funziona in Italia, dato che aggiunse: “nessuno ti dirà mai di no di fronte a un ragionamento così, sei una risorsa per l’azienda”. In Italia invece una manager che doveva essere tostissima (sono sempre tutti bravi in un paese di slinguazza-natiche), al termine di un mio stage da neolaureato non ebbe nulla di più intelligente da dire che: “adesso cosa farai? Uno stage?”. Anche a ridosso dei trenta succede che “questa posizione non è accessibile”, quell’altra è “una professione che si fa più avanti”, quest’altra non si sa bene ma non si fa, ma quello che manca è sempre un po’ di “gavetta”. A 25, come a 30, probabilmente anche a 40.

Allora mi sono domandato cosa sia la “gavetta” in Italia, perché tendo a capire meglio il ragionamento di uno che mi dice: ti mando a seguire un progetto, magari estero, ti arrangi tu, se fallisci vai a casa, se mi porti risultati avanzi. Invece la “gavetta” è qualcosa di più misterioso. L’ho cercata su Google, e come una ventata d’aria fresca ne ho trovato la definizione migliore sul blog Fuga dei Talenti.

E la conclusione è da applausi: “Oggi vi voglio parlare della “gavetta”. Quella parolina magica che ogni giovane professionista si sente ripetere migliaia e miliardi di volte, quando approccia dopo anni e anni di sudati studi il mondo del lavoro. Il giovane in questione, se non è un mediocre o un figlio di qualcuno, nutre spesso legittime ambizioni: vuole emergere, vuole dire la sua e lasciare un segno nel settore d’elezione. In Italia, il capo “non illuminato” per prima cosa lo squadra, interrogandosi mentalmente: “E’ imparentato con qualche potente?”, la prima domanda. “E’ un arrivista sociale disposto a fare tutto ciò che voglio pur di far carriera?”, la seconda.

Se la risposta è “no” in entrambi i casi, ecco scattare la parolina magica. “Gavetta”. “Eh, figlio mio, tu ti devi fare prima la gavetta”, è la frase più ricorrente. Frase assurta ormai a vero e proprio “istituto culturale” del sistema-Italia, al punto che persino i nostri genitori, rassegnati, ce la insegnano fin da piccoli. Non conta se il giovane ha brillanti studi alle spalle, conditi magari da esperienze di studio e lavoro all’estero: non conta se ha già le carte in regola per assumere posti di responsabilità o incarichi delicati.

Deve prima farsi la “gavetta”, partire dal basso con contratti più o meno decenti, mentre i raccomandati lo sorpassano a destra.

Spesso la gavetta assume contorni indefiniti, che durano anni. E’ la scusa perfetta per schiacciare i migliori, promuovendo i mediocri. Poi succede che questo stesso giovane manda un curriculum in Paesi di provata meritocrazia. E accade l’imponderabile: lo convocano, passa la selezione, gli offrono subito un posto di responsabilità, con lavoratori alle sue dipendenze e benefits vari. Lui fa la valigia, ma prima di partire torna dal suo vecchio capo.

Solo per dirgli: “Gavetta a chi?!?”

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