Quella varata dal Governo Monti costituisce, dal punto di vista formale, la quarta manovra del 2011. Dal punto di vista sostanziale, tuttavia, verrebbe da dire che è la prima; perlomeno se la nostra idea di manovra è un provvedimento che sia il frutto di una sintesi, invece che una mera sommatoria algebrica di antitesi e prove di forza tra amici-nemici. Rimarchevole anche la diversa qualità della conferenza stampa di presentazione del provvedimento: anche al netto delle sorprendenti, ma eloquenti lacrime del Ministro Fornero sulle pensioni, è lampante la differenza che intercorre tra chi è consapevole del ruolo che è chiamato a ricoprire e chi confonde una missione di sacrificio a servizio del Paese con un’occasione per gestire potere e fare spettacolo. La visione d’insieme in questa manovra c’è; può non piacere, ma c’è. Se giochiamo a distruggere le singole misure, possiamo criticarle dalla prima all’ultima e quasi sempre con ottime ragioni.Gli interventi sulle pensioni sono durissimi, nella parte in cui escludono le indicizzazioni al costo della vita; ma sono anche assai meno equi intergenerazionalmente di quel che vorrebbero apparire, nella parte in cui fanno comunque salvo tutto ciò che è sino ad oggi maturato, senza distinguere i casi in cui un ragionevole e accettabile diritto acquisito sconfina in un arbitrario e inaccettabile privilegio acquisito. L’anticipazione già dal 2012 dell’IMU, in sostituzione dell’ICI, è concepita in modo tale da determinare prelievi assai significativi anche sulle prime case: basta una casa di abitazione “normale” con una rendita catastale sui 1.500 euro per ritrovarsi a pagare più di 800 euro all’anno. Nonostante il giro di vite sulle Province (il massimo che si possa fare nelle more di una modifica costituzionale che le abolisca), i tagli ai costi della politica e dei partiti appaiono insufficienti rispetto ai sacrifici imposti ai cittadini. E così via. Tutto verissimo, però è altrettanto vero che questa manovra fa buona parte di ciò che era lecito aspettarsi: sul lato delle entrate, si concentra sugli immobili (unici lasciati tranquilli dalle precedenti manovre) e su altri beni, evitando di “molestare” i gia’ tartassati redditi soggetti alla feroce progressività IRPEF; sul lato delle uscite, agisce su pensioni e Province come era, rispettivamente, inevitabile e doveroso. Il rigore c’è e, quando c’è il rigore, l’unica possibile chiave di lettura dell’equita’ risiede nel modo in cui i sacrifici vengono ripartiti (anche alla luce di quelli già in precedenza disposti), piuttosto che nella valutazione dei singoli sacrifici, tanto meno equi quanto maggiore è il rigore che consentono. E se si dovesse comunque ritenere la manovra poco equa, si dovrà quantomeno riconoscere che è equanime nel prevedere soluzioni auspicate e detestate con pari intensità dalla generalità dei movimenti politici e delle forze sociali. I provvedimenti per la crescita, terzo paletto annunciato della manovra, appaiono ancora troppo marginali, pur nell’apprezzabilità di misure che rendono deducibile dalle imposte sul reddito l’IRAP riferibile al costo del lavoro e che premiano la capitalizzazione delle imprese. Stiamo però parlando di un Governo in carica da meno di tre settimane: messi in sicurezza i conti, possiamo serenamente dare credito per almeno altri tre mesi al Governo perché dimostri di saper agire in modo incisivo anche su questo fronte. Giusta inoltre la replica di Monti a chi afferma che la manovra non fa abbastanza per la lotta all’evasione: in una simile congiuntura, la principale misura di lotta all’evasione, in controtendenza rispetto a scelte sempre compiute nel passato, è la mancata introduzione di condoni fiscali. Senza contare che l’abbassamento della soglia di tracciabilità a mille euro non è poca cosa e che, comunque, di misure contro l’evasione fiscale, talvolta anche eccessive, nell’ultimo biennio ne sono già state assunte più che a sufficienza. È all’Amministrazione finanziaria che, attenendosi alle apprezzabili dichiarazioni di intento che essa stessa ha ritenuto di dover fare, tocca ora fare la sua parte: scovare gli evasori senza cedere alla tentazione di sparare nel mucchio, usando in modo improprio le “armi di massa” che le sono state messe a disposizione. Proprio per questo, una delle misure della manovra che suscita perplessità è quella del regime opzionale che attribuisce alle partite IVA individuali e alle società di persone una serie di semplificazioni fiscali a patto che si facciano calcolare le imposte e predisporre le dichiarazioni dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate. Le risorse di cui dispone l’Agenzia delle Entrate dovrebbero essere spostate verso un’attività investigativa sempre più capillare sul territorio per l’emersione del sommerso anche di piccolo cabotaggio; non verso un’attività sempre più impiegatizia di esame giuridico-burocratico di ciò che i contribuenti dichiarano cui cumulare, addirittura, quella di imputazione dei dati per loro conto. A meno che, naturalmente, si sia convinti che la gran parte dell’evasione si annidi in quello che i piccoli e piccolissimi contribuenti dichiarano per il tramite dei loro commercialisti, invece che in quello che non dichiarano nemmeno ai loro commercialisti. Una verità talmente elementare che mette chiaramente a nudo come la reale finalità di questa norma sia un’altra. Ci sarà però modo di tornarci più avanti. Intanto, limitiamoci a dire che, tra tante lacrime che questa manovra suscita ai cittadini per i sacrifici imposti, quella dell’Agenzia improbabile “commercialista di Stato” strappa il sorriso che inevitabilmente sfugge quando si pensa alla poca avvedutezza del marito che, per far dispetto alla moglie, rischia di compromettere la sua stessa virilità .
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