Su Autostrade Conte si prende altro tempo

Tirare a campare è meglio che tirare le cuoia. Questa è’ la massima che ispira da sempre le mosse del premier Conte e per campare il nostro eroe del trsformismo, è diventato pure il pricipe del rinvio. Del resto come diceva Crispi, lasciandoli fermi, i problemi si risolvono da soli, a volte, altrimenti marciscono. Però il conto lo paga Pantalone, che vuol dire tutti noi, ma in fondo in Italia non lo paga nessuno. Ultimo esempio, l’affare autostrade. Nel consiglio dei ministri.L’ultimatum ai Benetton diventa un penultimatum, infatti la decisione è unanime: impossibile procedere subito con la revoca della concessione. È così che l’ultimatum su Autostrade lanciato sabato scorso dal premier, arrivato nel frattempo a scadenza, si trasforma nell’ennesimo rinviare, prendere ancora tempo: dieci giorni per vedere se dai Benetton non arriverà un segnale di resa.  

Il premier promette che convocherà un nuovo Consiglio per decidere cosa fare, anche se il problema è aperto dal crollo del ponte Morandi e sono passati più di due anni. Ritorna la minaccia della revoca, ma si aspettano i Benetton a cui, a sentire la maggioranza, era stato dato da tempo il benservito. Anche se i Benetton, la risposta l’hanno già data: sono disposti a vendere Autostrade, ma a condizioni di mercato, non a quelle imposte dal governo, che considerano a torto o ragione, un esproprio. Insomma un colossale pasticcio. Se il governo non approva l’accordo quadro con Aspi, non si riesce a stabilire il valore della società e questa fallisce, lasciando per strada i dipendenti, settemila, gli obbligazionisti e gli investimenti, 14 miliardi di euro. Però se lo approva, il valore della società sale dai 2 miliardi che vorrebbe il governo, ad almeno 7 e per i Benetton rischia di essere festa grande. Al governo resta la carta della revoca con la nomina di un commissario, ma lo Stato potrebbe ritrovarsi sul groppone un maxi-risarcimento miliardario di oltre 20 miliardi, allora tutti fermi in attesa dei Benetton.

Atlantia e Autostrade hanno detto sì alla ricostruzione del Morandi, al risarcimento da 3,4 miliardi, al nuovo sistema tariffario, ai 14,5 miliardi di investimenti, ai 7 miliardi per le manutenzioni della rete autostradale. E anche alla riduzione di 2/3 dell’indennizzo, in caso di rescissione anticipata della concessione. Hanno pure detto sì alla vendita della società e all’uscita di scena degli “odiati” Benetton, festeggiata dal governo con troppo anticipo. Però resta il problema dei soldi, l’altro è quello della manleva, che devono essere molti di più, come chiedono anche gli altri azionisti, come Allianz, il fondo sovrano di Singapore e i soliti cinesi. Tutta gente che ha robusti santi in paradiso, a cominciare dalla “badante” di Conte, la cancelliera Merkel. Tutti costoro vogliono un accordo, che però per far felici loro, scontenta il governo, altrimenti si aprirebbe un contenzioso complesso, incerto nel risultato e sicuramente sputtanante a livello mondiale. L’idea dei pieni poteri a livello economico finanziario, non passa facilmente, come accade nel Parlamento italiano.

E così Conte si ritrova addosso il peso di dire sì alla revoca, rischiando di perdere subito la faccia e più tardi i soldi, senza sapere per di più a chi affidare la gestione di Aspi. Peggio dei Benetton, c’è solo Anas. E allora meglio rinviare, per capire se il problema si risolverà o marcirà, come accade già per Alitalia e le acciaierie di Taranto. Nel frattempo agli italiani non resta che aspettare, per sapere a quanto ammonterà il conto.

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