Storia

storia Cominciarono i Romani con « storia magistra vitae » e di lì fu tutta discesa: la storia ci insegnava a vivere, ci “prediceva” il futuro. Una tragedia. Già un romano, Tacito, ci aveva ammonito sugli storici quando scrisse “ne fecero un deserto e la chiamarono pace”, ma ormai la storia si era atteggiata a scienza. Alla faccia del fatto che a scriverla non fossero tutti, ma solo alcuni, che, forse, “tendevano” a raccontare la loro storia. Il marxismo la elevò a livelli quasi matematici, una roba da causa ed effetto, molto pratica, ma poco predittoria. In seguito vennero i marxiani che attenuarono il brodo, ma ancora oggi sono tutti puntuti sul fatto che la storia insegni al genere umano. L’altra sera una persona di molto buon senso (e di alcuni difetti), Cacciari, ha affermato che lui non insegna, racconta e se poi i suoi racconti, elaborati a vario livello, possono servire al singolo individuo, bene, quello è il massimo che si può fare. Se ci pensate è molto vero. Almeno per il fatto che la storia è passata a tutte le altre discipline (scienza, filosofia, arte, ecc…) ma non come catalogazione temporale, no, introducendo, come storia, questioni di merito.

La storia allora deve essere ripensata, in qualche maniera ridimensionata, se non vogliamo farne una specie di religione di tipo riformato, in cui, da dove e come uno nasce, discende il suo futuro. E non solo per l’individuo, ma anche per la nazione, la classe sociale o politica, tutto, insomma. Questo supplizio di Tantalo, o peccato originale, finisce poi per condizionarci realmente e finisce per incanalarci in una storia che non sarebbe la nostra, se noi decidessimo di volerne una diversa. La parola chiave è “volerne”. Imbelletterò l’articolo citando Schopenhauer “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Volontà, ovvero il mio intervento,quindi la storia che io scrivo. Si deve ripartire da una decisa voglia di contare, di esserci, di partecipare e non di restare sbragati davanti alla TV a farci raccontare quello che gli altri decideranno per noi. Vale per la politica, per i nostri rapporti sociali, per la famiglia, per la nostra vita, insomma. Quella vera, quella per cui alla fine potremmo dire che abbiamo tentato di vivere.

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