Una società multirazziale, per definizione, è quella che sa accogliere le differenze culturali e farne tesoro. L’esempio di Singapore – dove risiedo – è interessante e per molti aspetti di successo. Tuttavia, dopo cinque anni vissuti a contatto con le culture locali, sempre più mi convinco che una società multirazziale perfetta, ancora non esista. Tanti dichiarano che gli Stati Uniti d’America lo siano. Ma specialmente in alcune aree di confine, le fratture fra la comunità ispanica e i caucasici, sono quanto mai profonde.
Quel che più ritengo essere collante per l’integrazione è la lingua. La Malesia è una di quelle nazioni che ha decisamente voluto fare tesoro della propria lingua. Il sistema scolastico Malese è interamente basato sulla lingua nazionale, il Malese. Eppure solo il 50% dei cittadini della Malesia è di etnia malese. Il rimanente 50% è un miscuglio di cinesi, indiani, caucasici e altre culture ed etnie. Quando infatti ci riferiamo alla Malesia, dovremmo più propriamente chiamarla Malaysia, ovvero terra dei Malesi. Originariamente il nome era ancora più significativo, Malaya. L’inclusione di Singapore per due anni a partire dal 1963, aggiunse quel “SI” al nome della nazione. Ancora più complessa è la definizione dei cittadini della Malaysia.
La lingua inglese distingue chiaramente fra cittadinanza e razza. In italiano invece, la parola malese serve sia per definire una persona di razza malese-musulmana, magari cittadino di Singapore, sia un cittadino della Malaysia, magari di razza cinese. Per definizione quindi, un malese potrebbe non essere malesiano ed un malesiano non essere malese.
Per quanto suoni complicato alle nostre orecchie, molte nazioni seguono lo stesso modello. Si pensi per esempio ad un cittadino americano di origini africane, ad un cittadino sud africano con origini olandesi, ad un cinese in Indonesia, o senza andare troppo lontano ad un francese magrebino. E’ difficile quindi capire come mai, quando il cittadino italiano Mario Balotelli toccava palla, parte del pubblico gli gridava “buuu”.
Ma i valori attribuiti alla nazione ed alla nazionalità vanno ben oltre la razza. Ecco allora che la guerra delle origini animali si fa feroce nel Sud Est Asiatico. Singapore (che tradotto in malese significa la “terra del leone”) è la patria della famosa birra Tiger e della compagnia aerea Tiger. Tuttavia la squadra di calcio Singaporeana e’ nota come i Lions. Eppure allo zoo di Singapore si trovano tre rare tigri bianche. In Thailandia la birra nazionale è la Singha (leone), tuttavia in Thailandia esiste il Tempio delle Tigri. La popolazione cinese festeggia il capodanno con la danza del drago, che però è un leone. Ad aggiungere ironia, gli unici leoni in cattività si trovano in Africa. E la tigre della Malesia, comunque, non è malese, ma forse cinese.
Le migrazione vanno avanti da migliaia di anni. Già nella Bibbia il popolo ebreo andò avanti ed indietro tra Babilonia (Iraq) ed Egitto diverse volte. Trecento anni dopo Cristo, Alessandro Magno portò la sua armata dalla Macedonia all’India. Gengis e Kublai Khan – dal medioevo in poi – portarono il popolo nomade dei mongoli da un capo all’altro dell’Asia. Il colonialismo mischiò ancora di più i popoli nei continenti ancora vergini.
Alcuni sostengono che in Europa si siano fatti troppi errori in passato, permettendo un’immigrazione talvolta troppo libera. Si pensi alla Germania che ospita la più grande comunità turca al mondo, o alla famosa Chinatown di Prato. Concetti di ghetto che dovrebbero oggi essere anacronistici. Ma certo è che le migrazioni umane sono irreversibili. E come la termodinamica ci insegna, una volta raggiunto il caos, non c’e’ modo di riportarlo all’ordine. Così come una società mista, può solo diventare più mista.
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