Il Senato di Renzi: il piè veloce fiorentino rischia un pasticcio

01-renzi Il Governo Renzi, abbandonato il tentativo di aggirare l’articolo 138 della Costituzione, come aveva provato il precedente Governo Letta ( con la inusuale “commissione di saggi “), poi fallito per la pretesa della destra di inserirvi la scelta semipresidenzialista, ha presentato un nuovo progetto di revisione costituzionale, però limitato soltanto alla composizione e alle funzioni del Senato e ad alcune parti del Titolo V sul rapporto tra Stato e Regioni.

Anche se quest’ultimo procedimento si muove nel corretto alveo dell’articolo 138 della Costituzione , rimangono tuttavia gravissime ragioni di opposizione, sia in ordine al metodo, sia, ancor più, per quanto riguarda il merito delle proposte, per lo meno di quelle relative al Senato , tralasciando il tema altrettanto delicato delle riforma del Titolo V della Costituzione vigente. In questo e, in un successivo articolo, avanziamo alcune riflessioni proprio sulla nostra, per usare un termine inglese, “ Camera Alta “.

Quanto al metodo, non è accettabile, ancora una volta, voler procedere sotto il segno della fretta, addirittura fissando traguardi temporali (il 25 maggio, data delle elezioni per il Parlamento europeo, per la prima lettura da parte del Senato) che nulla hanno a che vedere con la materia in discussione, e sacrificando a tali eccentrici traguardi l’esigenza di una meditata riflessione e di una approfondita discussione. Né è accettabile il rifiuto di ogni confronto, sia con voci autorevoli della cultura giuridica e politica del Paese (i cosiddetti “professoroni “), “liquidate” con incredibile presunzione ed arroganza ( dalla ministra Maria Elena Boschi), sia addirittura con i parlamentari chiamati a votare il progetto, ai quali si vorrebbero imporre cosiddetti “paletti” insormontabili (ad esempio, sulla “non eleggibilità” del Senato) non si capisce da chi e perché decisi.

E tutto ciò si traduce, come è evidente, in una inammissibile superficialità ( tanto più inammissibile in un’opera di revisione costituzionale), già riscontrabile nei contenuti del progetto, e destinata a dar luogo – se il progetto sarà approvato – ad un grave e pericoloso peggioramento del testo costituzionale.

Quanto al merito, la riforma del Senato non elimina il bicameralismo, ma lo sostituisce con un – mi si consenta l’espressione – “bicameralismo pasticciato”. Continueremmo ad avere il Senato ,che si chiamerebbe “Senato delle Autonomie”, una nuova denominazione giudicata sbagliata da Luciano Violante- e non solo lui- fra quelli che se ne intendono di norme costituzionali, perchè la nostra repubblica non è assolutamente uno stato federale. Alla fine, se va avanti così la riforma, avremmo un Senato: non elettivo, e quindi meno rappresentativo e meno autorevole. Composto 148 persone: 21 nominati dal presidente della repubblica e 127 rappresentanti dei consigli regionali e dei comuni, che manterrebbero i loro ruoli originari e quindi svolgerebbero l’impegno di senatori come “secondo lavoro”, ovviamente con impiego di tempo, di energie, e di pensiero assai ridotto; con funzioni poco rilevanti: salvo la partecipazione alla elezione del Presidente della Repubblica (normalmente ogni sette anni) e la elezione di due giudici costituzionali, per il resto, quanto alla funzione legislativa, il Senato parteciperebbe soltanto alla formazione delle leggi costituzionali (ovviamente tutt’altro che frequenti) mentre sulla formazione delle leggi ordinarie avrebbe soltanto un potere di “richiamo” del disegno di legge approvato dalla Camera (da esercitarsi nel temine di dieci giorni) con facoltà, sul disegno di legge così “richiamato”, di esprimere un parere (entro i successivi trenta giorni) che però la Camera sarebbe poi libera di disattendere.

Soltanto per alcuni disegni di legge, relativi a materie interessanti le autonomie locali, la Camera avrebbe il potere di disattendere il parere del Senato solo a maggioranza assoluta dei propri componenti: senza tuttavia che sia chiaro cosa succeda se tale maggioranza non venga raggiunta. Se si considera che quasi tutti i senatori sarebbero assorbiti per la maggior parte del loro tempo nel lavoro nelle Regioni e nei Comuni, c’è da domandarsi quanti di essi vorranno dedicarsi nei dieci giorni dalla approvazione di un disegno di legge da parte della Camera all’esame e allo studio di tutta la documentazione relativa per proporre al Senato l’adozione di un parere che non avrebbe alcuna certezza di essere preso in considerazione. E se questa facoltà sarà poco praticata, come è probabile, ovvero se essa non avrà grande ascolto dalla Camera, come è altrettanto probabile, avremmo un Senato che servirà veramente a poco. Avremmo insomma, col nome di “Senato”, un ente pressoché inutile. Quello che Corradino Mineo, ex-direttore di Rai-News, adesso senatore del Pd , ha ironicamente chiamato un “dopo lavoro “ per i futuri senatori ! A questo punto, allora, sarebbe più serio eliminare del tutto il Senato, ed introdurre giusti contrappesi di bilanciamento all’attività dell’unica Camera, depositaria della rappresentanza popolare, soprattutto se questa è eletta con un sistema maggioritario pigliatutto, Italicum messo a punto dal patto Renzi-Berlusconi.

Si registra però che la bagarre creata nella commissione affari costituzionali del Senato, causa la spaccatura dentro al PD e il bliz Calderoni che ripropone un senato elettivo con seggi ripartiti su base regionale, abbia fatto slittare a metà giugno la ripresa dell’esame del testo del governo : un arresto, dunque, del piè veloce….che adesso giustamente corre per la campagna elettorale del “suo “ PD.

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