Centomila intercettazioni in nove mesi per mettere il dito nella piaga delle private quanto risapute debolezze del premier, roba da far tremare anche gli spioni di CIA e KGB ai tempi della guerra fredda, quando si spiava per altre cause, per differenti ragioni. Diciassette feste a Palazzo Grazioli, cinque ad Arcore, e poi in Sardegna e nei centri benessere.
Otto indagati, decine di escort in lotta fra loro nell’harem per catturare le attenzioni dell’infaticabile emiro, coinvolti nell’orgia impunita di intercettazioni anche vari esponenti politici di destra e sinistra che, quando si tratta di vizi privati, una convergenza bipartisan evidentemente sanno sempre trovarla. Dicono che la procura di Bari avrebbe speso – a carico dei contribuenti martoriati dalla recente manovra, che forse non basterà dopo la bocciatura di S&P – circa 450 milioni di Euro per l’indagine-gossip del secolo pugliese, svolgendo in alcuni mesi un lavoro per cui ci sarebbero voluti anni, tenuto conto della media lavorativa dei magistrati italiani più virtuosi. Numeri da capogiro, se si rapporta l’entità dello sforzo all’utilità dell’impresa; risorse imponenti distratte da cause ben più meritevoli, se si considera la carenza di organico a più riprese reclamata da un ordine autonomo ed autorevole, le cui frange estreme non resistono alla tentazione di atteggiarsi a terzo contropotere partigiano di una nazione alla deriva, che dopo aver toccato il fondo si sta scavando anche la fossa, nella quale i parenti-serpenti dell’unione continentale di facciata vorrebbero seppellire lo stato diventato maiale, a dispetto del popolo formica. Il tempo sta per scadere, il mondo ci osserva fra rabbia e derisione, le agenzie di rating ci declassano a causa del cattivo management (pubblico) della solida azienda (privata) Italia. Occorre trovare la forza e l’orgoglio per risalire, se non per responsabilità almeno per dignità ed orgoglio, per non soccombere nella vergogna e nel debito, che dopo il downgrading diverrà assai più oneroso. L’uomo di stato abbia il senno di anteporre la causa collettiva alla propria istintività, incarnando l’istituzione in luogo dell’ideologia: il governante si occupi della cosa pubblica essendo sobrio e responsabile nel privato, il magistrato obbedisca alla legge e non alla lotta di classe contro il nemico dichiarato, l’oppositore si opponga con proposte e non con la lagna ed il pregiudizio. Si facciano le riforme indispensabili con le risorse e i mezzi esistenti, una crisi di governo nella crisi di sistema sarebbe la catastrofe, si apra un dibattito serio sulla riforma della giustizia, anche se non c’è più tempo per attuarla. Sarebbe una vittoria di civiltà ed equilibrio, tanto per la magistratura quanto per la politica. Esperienze come quelle di Bari offendono la dignità e la storia di un Ordine laborioso ed autorevole che ha fatto la storia del paese, rappresentano lo stadio terminale di una patologia cronica del sistema, di cui si conoscono assai bene cause, sviluppi e quindi la cura, sintetizzabile nella seguente ricetta: affidamento della giustizia disciplinare ad un organo neutro ed indipendente dalla magistratura; abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, i cui criteri e le cui priorità dovrebbero essere stabilite dal Parlamento; dipendenza gerarchica dei pubblici ministeri da un organo governativo, come succede in Inghilterra; divisione delle carriere fra giudici e pm; selezione dei giudici fra funzionari dello Stato e relativo reclutamento dopo un percorso selettivo di rigore, come accade in Germania. Può sembrare fantascienza, ma le riforme – a partire da quelle di politica e giustizia – sono possibili se si restituisce il primato alla Politica, che è primato della volontà e della dignità del popolo sovrano. Sembra utopia, ma potrebbe essere realtà, se solo il privato di certi personaggi pubblici, politici e magistrati, prendesse davvero coscienza di quel che sta accadendo al nostro Paese e della funzione cui sono chiamati, in nome del popolo sovrano. La riforma della politica e della giustizia, in questo delicato frangente, passa dalla riforma delle coscienze e dei comportamenti degli uomini di stato. Alla coscienza di costoro affidiamo quindi le sorti del Belpaese abbrutito, sperando possa colmare le distanze fra dovere pubblico ed interesse privato di chi governa e fa giustizia in Italia, perché gli italiani hanno bisogno di gente al comando che faccia numeri, senza dare numeri.