Se il premier è donna ma solo di servizio

 È un riflesso condizionato. Quando serve fare pulizia, mettere ordine, dare una spolverata, ecco: ci vuole una donna. Così per un governo di servizio, come è stato definito, la priorità ora pare essere che abbia un profilo soprattutto femminile. Mentre la politica italiana – prevalentemente maschile – sta dando il peggio di sé, cambiare genere sembra equivalga a cambiare segno, invertire la rotta puntando verso lidi più tranquilli, rassicuranti.

Se occorre una personalità capace di convincere, ammansire, qualcuno di affidabile, quasi materno, a cui dare un compito difficile, se non vano, qualcuno che si debba, appunto, mettere al servizio del Paese, si pensa a una donna. Poco importa se le si chiede il sacrificio di rinunciare al proprio lavoro e accantonare gli impegni per un incarico a tempo, così ridotto da durare una o forse due stagioni. Per cosa poi? Per formare un governo che andrà in parlamento senza maggioranza e con la prospettiva di dover solo rassettare la scena del crimine politico prima che si proceda al prossimo voto.

Solo dopo si passerà a fare sul serio. E chissà se allora, quando (forse) si dovrà formare un esecutivo politico, sarà ancora matura l’idea di affidarlo a una donna. Finora non è successo. Sarebbe quasi una beffa se la prima donna premier dell’Italia fosse una donna di servizio (in senso metaforico, ça va sans dire). Ma sarebbe un vero guaio se non ce ne fosse subito dopo una seconda.

Dunque, se una donna verrà chiamata dal Colle a guidare il governo neutrale, c’è da sperare che nelle politiche di genere non sia neutrale per nulla. E che lavori per la costruzione di un futuro delle istituzioni italiane che veda le donne ingaggiate per le loro capacità individuali più che per la stereotipata natura paziente.

Da: Repubblica.it

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