Scure fiscale sulla Casa della Libertà

La manovra d’estate è stata caratterizzata da un serrato dibattito, all’interno della maggioranza, fra sostenitori ed oppositori della patrimoniale sulle grandi ricchezze. Alla fine ha prevalso la fronda liberista no tax, nonostante le pressioni della rappresentanza popolare e socialista del governo.

Si sarebbe trattato di tradire un ideale per una buona ragione, forse non così buona per i liberali più ricchi e convinti. Sta di fatto che questa ragione è la crisi più profonda degli ultimi decenni, causata da decenni di vizi ed errori della politica a livello globale, pagata a caro prezzo dalla gente comune, in particolare dalla borghesia che oggi borghese non è più suo malgrado, che fatica a fare i conti con quell’ideale liberale in cui ha sempre creduto e che oggi la delude, tentata dal rifugio solidale del socialismo moderno, ben disposto ad incarnare lo smarrimento e la delusione dei nuovi poveri che furono borghesi. La coerenza ideale ha evidentemente il suo prezzo, pagato in modi e misure diverse, tanto dai liberali parlamentari quanto da quelli popolari. Pensa così, lo smarrito elettore liberale rimasto borghese nonostante la crisi, dopo una crisi di coscienza durata per tutta l’estate. Fino a quando non prende coscienza della scure fiscale che la legge n.148 getta, a tradimento, anche sulla sua prima e unica casa, la casa della libertà costruita negli anni dell’ascesa borghese e oggi mantenuta a costo di rinunce, dal ristorante di pesce alla vacanza low-cost in Egitto, diventata pure un po’rischiosa di questi tempi. Lo smarrimento del povero elettore si tramuta perciò in inquietudine, condivisa con la coppia di genitori new-entry nella categoria dei nuovi poveri, che stringendo la cinghia paga l’affitto della libertà di suo figlio, quella che forse otterrà studiando duro per trovare un lavoro, che possa rendere almeno un briciolo dei redditi cumulati coi doppi incarichi dal parlamentare che ha votato la legge 148, preservando i propri privilegi e imponendo nuovi sacrifici di massa. Il caldo torrido, la voglia di vacanza per non pensare alla crisi ed ai politici, la lettura della gazzetta dello sport al posto del corriere, la televisione spenta, un calcio alla realtà e un tuffo nel mare per sentirsi ancora un po’ borghesi: le circostanze d’estate hanno portato l’elettore a convincersi, ma non del tutto, che la patrimoniale sulle grandi ricchezze non si poteva fare, perché non è liberale, anche se si muore di crisi. Adesso che l’estate è finita e quelle circostanze sono andate con le vacanze e con l’approvazione della 148, l’inquietudine borghese sta diventando rabbia proletaria, perché non c’è coerenza ideale che tenga, né per l’elettore né per l’eletto, di fronte ad un parlamento capace di risparmiare su beni e servizi di prima necessità, preservando incomprensibili benefit per la casta, dopo settimane di subdola pubblicità mediatica sui tagli ai costi della politica. La brezza del socialismo d’avanguardia accarezza cuore e pensieri dell’elettore borghese dei bei tempi che furono, in questo torrido avvio di autunno italiano. Per l’elettore se non per l’eletto, l’angoscia di una nuova povertà vale il tradimento di un ideale, specie se incarnato da un certo modo di pensare e fare politica. Se la Politica è servizio e bene comune, non c’è ideale che possa giustificare doppi incarichi politici, di questi tempi e con l’aria che tira, perché offendono la dignità di chi la crisi la subisce e la paga. Se la Politica è responsabilità, non è accettabile che si chieda alla gente un sacrificio sulla prima casa, senza retrocedere sugli iniqui privilegi del palazzo. In ballo non c’è solo la continuità dell’azione di governo, ma soprattutto il consenso popolare in vista delle prossime sfide elettorali. Se tempi e condizioni lo permetteranno, le prossime settimane dovranno essere impiegate per porre rimedio agli errori di concetto e di metodo che hanno inficiato la valenza di un provvedimento i cui pregi hanno finito per essere oscurati dai relativi limiti e contraddizioni, grazie anche al contributo poco costruttivo delle forze di opposizione.

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