Oggi, sul tappeto, vi sono questioni importanti riguardanti la politica industriale e quella del lavoro.
Sia le miniere del Sulcis che l’ALCOA, industria che produce alluminio, rappresentano un esempio di economia assistita che non ha più ragione d’essere in Italia, specie in un contesto europeo fortemente competitivo.
L’ipotesi di creare “miniere verdi” al posto di quelle esistenti, non è solo velleitario, sul piano tecnologico, ma è anche antieconomico.
Non ha senso investire enormi quantità di denaro pubblico per mantenere in piedi, ad ogni costo, industrie senza prospettive, facendone pagare i costi alle altre aziende con bilanci in attivo ed in generale ai contribuenti, attraverso una politica fiscale soffocante.
Un esempio classico di industria decotta, sopravvissuta finora solo grazie ai finanziamenti pubblici, è la Fiat: fin dal ventennio la Fiat è stata assistita dallo Stato italiano allo scopo di sostenere l’occupazione e l’indotto, a scapito di moltissime altre aziende che potevano contare solo su se stesse e che rischiavano in proprio.
La Fiat si presenta come una fabbrica nazionale, quando si tratta di attingere alle risorse pubbliche, come multinazionale quando si tratta di abbattere il costi della manodopera. La grande industria in italia ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo, alle spalle della piccola e media industria ed ora, come ringraziamento, pensa di trasferire i propri investimenti negli Stati Uniti.
L’industria ALCOA è finora sopravvissuta solo grazie agli incentivi pubblici destinati ad abbattere gli enormi costi energetici necessari per produrre l’alluminio: materiale prodotto a costi non più competitivi rispetto alla concorrenza mondiale.
A guadagnarci, finora, è stata solo la multinazionale statunitense proprietaria di ALCOA che, una volta terminati gli aiuti pubblici, ha scelto la via della fuga. Per quanto riguarda l’ILVA di Taranto, un pessimo esempio di privatizzazione che ha prodotto solo perdite, ci si deve domandare se ha ancora senso economico la produzione dell’acciaio in Italia, visto i disastrosi risultati di bilancio finora conseguiti e la negativa influenza che tale produzione esercita sul contesto ambientale.
La regione Puglia merita un’altro tipo di valorizzazione, ottenuta attraverso finanziamenti mirati nel settore agricolo e turistico, anziché nella produzione di acciaio. Le stesse valutazioni valgono per l’industria chimica di Marghera, a Venezia: un’industria da sempre assistita dallo Stato italiano, che ha finora arrecato un danno elevatissimo all’equilibrio ambientale del territorio limitrofo, senza contrubuire, in alcun modo, a ridurre l’impatto dei suoi processi produttivi.
I posto di lavoro dei dipendenti di queste industrie decotte vanno invece salvaguardati attraverso la cassa integrazione, intesa come soluzione transitoria che prepari una soluzione di mobilità e di riconversione professionale degli addetti, da collocare, in seguito, in altri settori produttivi.