Bersani, uomo di metafore azzardate, stavolta ha centrato il problema, ha affermato che “il sindacato non è un ferrovecchio”. Se lo trovate banale rileggete la frase e troverete l’immancabile svolgimento. Tutti gli organismi democratici e associativi non sono MAI da buttare. Ma come detto, sono organismi, contenitori. Quello che li distinguono nel tempo è il contenuto. Se foste contadini e faceste vino, sapreste che nelle damigiane di solito c’è il vino, ma in almeno una si fa l’aceto, quindi prima di riempire la brocca è bene dare un’annusata. Non è che un partito non sia anche lui un contenitore. La democrazia e il reale associativismo di un organismo la si misura dall’approvazione dei molti nei confronti dei vertici e, da questo punto di vista, devo dire che i sindacati, tutti, sono particolari. Infatti lì i capi cambiano solo quando si dimettono e le dimissioni sono rare e di solito seguite da incarichi politicamente altisonanti.
Questo ha sicuramente lasciato indietro nella storia il sindacato italiano, ma è storia vecchia. In Italia nessuno si occupa (soltanto) del suo, anzi si preoccupa soprattutto del compito degli altri. I tifosi vanno allo stadio e contestano allenatori e presidenti. Se fossero tifosi normali farebbero contestazione restandosene a casa. Gli elettori non hanno quasi mai il coraggio di dire apertamente per chi hanno votato (e per questo gli exit poll non li usiamo più). I cittadini si lamentano di essere oberati da tasse, ma poi organizzare uno sciopero fiscale è impresa titanica, e comunque nessun organismo ti dà una mano. Così, tanti appartenenti al PD hanno fatto i salti mortali per entrare in graduatorie sicure per essere eletti e il giorno dopo non hanno chiesto ai loro elettori cosa volevano, ma hanno fatto la loro lotta politica, appunto e non quella degli elettori. Il sindacato sino agli anni sessanta viveva di tessere, scioperi e manifestazioni. Poi sono venute le grandi vittorie : Statuto dei Lavoratori, Scala Mobile e di lì una costola più politica che sindacale. Le grandi manifestazioni sono servite a mantener vivo l’orgoglio di sinistra al tempo di Berlusconi, a mandare a casa Prodi, e ora a spaccare una parte (piccola?) del paese.
Il sindacato, anche per la pochezza dei suoi” lider maximi”, si è dimenticato che doveva difendere posti di lavoro e non lavoratori, e quindi si è trasformato in un organo di lotta e non di governo, dove governo sta per proposte, aggiustamenti concordati e non riempire i vuoti dei privati con posti nello stato o come tali o come prepensionamenti. Oggi non c’è più ciccia e necessariamente sono mandati a stendere, anche perché gli imprenditori (padroni?) non li hanno mai visti come una risorsa aziendale, ma solo come nemici o utili idioti che avrebbero dato una mano a scaricare sullo stato le inefficienze e le incompetenze aziendali (non è pensabile che fossero SOLO crisi reali di mercato, visto che all’estero non venivano registrate). Normalmente a quarant’anni non ci si veste come un quindicenne e comunque quando non si va più avanti o si cambia o si muore. Questo è il punto a cui è arrivato il sindacato (vertici), che facendo finta di parlare di lavoratori, parla di nuovo politico, di bacino di voti, di fregnacce. Perché fa il mestiere degli altri. Di quei politici che sfilavano a Roma con loro, ma che non hanno il coraggio di farsi una loro manifestazione, di cominciare da capo per prendersi il partito, e non parlo solo di Cuperlo, parlo soprattutto dei suoi ispiratori, quelli che alla puzza di sudore hanno sempre preferito il salmastro.
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