Rivolta o rivoluzione?

 Qualche giorno fa in Francia hanno celebrato la rivoluzione francese. 14 luglio 1789 cambio’ il mondo. Era la rivoluzione borghese, quella che seppelliva il diritto dei re e che consegnava questo diritto al popolo. Chiacchiere. Il potere da tempo era nelle mani della borghesia, ma la rivoluzione francese lo sanciva in maniera definitiva e sulla base di idee razionali (l’illuminismo), arrivando, per breve tempo, non solo a saccheggiare i religiosi, ma ad abolire la religione, sostituendola con una di Stato. Poi tutto finì con l’impero napoleonico e il tentativo, ridicolo, di ripristinare il re in Francia. Gli inglesi, che la testa al re l’avevano già tagliata, ma sempre come cosa casalinga, e che alla rivoluzione politica avevano preferito quella industriale, furono i più feroci nemici di questa vera rivoluzione borghese. Perché, come poi si vide, la rivoluzione é come le ciliege, ci si prende gusto e una tira l’altra, per cui a Parigi col Terrore si rischiava di andare in bocca alla rivoluzione proletaria e allora Dio (e il re) ci scampi. Fu l’apripista di tutte le rivoluzioni e per due secoli ci furono pensatori che trovarono adepti pronti a morire per le loro idee. Il mondo cambiò ( non sempre in meglio), ma ormai il fenomeno era incontrollabile. Tutto finì col secondo dopoguerra, quando gli americani riuscirono ad imporre il loro pensiero, la loro filosofia: il consumismo. Che non comporta rivoluzioni, ma le declassa al ruolo di rivolte. Da allora nel mondo assistiamo a scoppi di violenza, anche enormi, in cui tanti perdono la vita, ma niente é sotteso dietro, nessun nuovo ordine, nessuna diversa concezione dello stato, solo una valvola di sfogo alle rabbie e alle frustrazioni. Fu così nell’Africa degli anni 60-90, che generò mostri legati alle etnie e alla presa del potere per fini personali. Idem nel vicino oriente dove, se si fossero fatti due stati (ebraico e palestinese) invece che uno, non sarebbe successo niente e le guerre al massimo, sarebbero state sul prezzo dei pompelmi. Anche nel far east, se i francesi fossero stati meno ansiosi di perdere le colonie (materie prime e manodopera a basso costo), avremmo avuto altro tipo di trasformazioni. E tutto poi per cosa? Perché io compri un tavolino da giardino in metallo per cinquantasei euro, made in Vietnam. Tutti rincorrono le immagini, da dovunque esse provengano (TV, computer, smartphone) e su quella modellano la loro vita, le loro frustrazioni e alla fine le loro rivolte. Che non avendo idee soggiacenti, non portano  a niente, solo ad un mucchio di detriti in più. Anche i radicalismi religiosi hanno matrici identiche. Facendo un doppio salto mortale, si passa da un consumismo desiderato, alla negazione del medesimo, e ci si appella al vuoto pneumatico di quattro frasette sceme, sparate a caxxo da frustrati che hanno deciso di essere i depositari di realtà molto complesse, e in base a questo giochino vanno a creare califfati o castelli di sabbia che costano poi la vita a troppi. E che gettano i rimanenti nelle braccia di una rabbia illogica, su cui proliferano facce da c. di tutti i generi (alla voce politici), che come fine ultimo hanno il rappresentarci (per qualche centinaio di migliaia di euro l’anno) laddove si cercano soluzioni. Ma se chi cerca ha tutto l’interesse a che nulla cambi, perché aspettarci qualcosa? Ora l’ultima spiaggia sembra essere: acceleriamo il fenomeno.  E dalle ceneri del vecchio nascerà qualcosa di diverso. Già sperimentato nella storia, e quello che nascerà non potrà prescindere da quello che c’era prima. Quindi saremo sempre nella stessa zuppa. Non ho soluzioni, non volevo annoiarvi (anche se temo di esserci riuscito) volevo solo  indurvi a pensare alla vostra vita, alle vostre rabbie, alle vostre frustrazioni e al fatto che solo la cultura é la panacea di tutto il nostro dolore. Il quid in più che permetterà di dire no, di decidere quando il troppo stroppia, e di essere consapevoli che l’erba del vicino non deve essere sempre più verde.

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