«Perché
partire dalla fine? Perché partire proprio dal rimedio al processo troppo
lungo?». A
chiederselo è Giandomenico
Caiazza, presidente
dell’Unione camere penali (Ucpi) e portavoce di una campagna d’informazione per
spiegare in maniera semplice e intuitiva l’importanza della prescrizione. A un
mese dall’entrata in vigore della riforma targata Cinque Stelle, infatti, gli
equilibri di maggioranza tornano a tremare. In sostanza, dal prossimo anno la prescrizione dei
reati si interromperà dopo la sentenza di primo grado, sia di condanna sia di
assoluzione: per molti è l’unico modo per impedire la prescrizione dei reati
dovuta ai tempi eccessivi della giustizia italiana, per altri, viceversa, la riforma
si propone come l’unico modo in cui l’ordinamento può difendere gli imputati
dalla lunghezza dei processi. La voce degli addetti ai lavori però sembra tutto
sommato unitaria: l’effetto boomerang è dietro l’angolo, in particolare sulla
durata delle udienze e gli effetti negativi per imputati e parti offese.
«La riforma va a minare un principio di civiltà: ovvero quello che vuole che un
cittadino non debba e non possa essere in balia della giustizia penale per un
tempo indefinito», spiega Caiazza. «Si può anche ragionare su una prescrizione
che intervenga nella sentenza di primo grado, ma in un contesto in cui la
durata dei processi è ragionevole. I processi durano decenni, pertanto la
prescrizione del reato è l’unico argine a questa patologia del sistema
giudiziario italiano». In
altre parole, la riforma parte con le polveri bagnate, in quanto è proprio
la conditio sine qua non a mancare e le intenzioni del
ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ad essere a dir poco pruriginose. Secondo una folta schiera di
avvocati penalisti, la cui cassa armonica è il silenzio che dal 2 al 7 dicembre
riempirà le aule di Roma, come di altri distretti giudiziari, per lo sciopero
proclamato, quella del Movimento 5 Stelle è l’ennesima acrobazia di propaganda
in grado di canalizzare un malcontento generale dei cittadini nei confronti
delle istituzioni di giustizia e di un sistema di lungaggini oggettivamente
estenuante.
Una propaganda che prende adito dalle parole dello stesso ministro Bonafede, il
quale considera la norma della prescrizione come “l’àncora di salvezza del
delinquente che anche se beccato inconfutabilmente con le mani nella
marmellata, fa di tutto per allungare i tempi processuali e ottenere la
prescrizione del reato”. Ma è davvero questo l’iter e la risoluzione in voga
nei tribunali italiani? «Innanzitutto – commenta Caiazza – il 75 per cento
delle prescrizioni matura prima della sentenza di primo grado. In secondo
luogo, i reati che si prescrivono in breve tempo sono quelli bagatellari.
Quelli che generano allarme sociale, i più gravi, hanno tempi di prescrizione
che vanno dai 16 ai 50 anni». Come se non bastasse l’accusa mossa agli avvocati, non a caso lo sciopero di
massa, è considerata da molti una sorta di fake news del foro, in quanto per
legge a ogni richiesta di sospensione o di rinvio degli avvocati si sospendono
anche i tempi di prescrizione (è quindi impossibile per quest’ultimi pilotare la grammatica di un processo). Di che cosa stiamo parlando, quindi?
La riforma va a minare un principio di civiltà: ovvero quello che vuole che un cittadino non debba e non possa essere in balia della giustizia penale per un tempo indefinito
Il nodo
gordiano delle tempistiche (non vengono ridotti i tempi troppo lunghi delle
indagine dei processi), così come un rovescio della medaglia che può rendere
eterni i processi successivi a quello di primo grado (dopo che il reato cade in
prescrizione, si perderebbe l’interesse a procedere con un secondo grado di
giudizio), potrebbero tradurre la picconata pentastellata in un ulteriore ingolfamento degli
uffici giudiziari. Il
blocco della prescrizione avrà conseguenze diverse in base alla percentuale di
archiviazione per prescrizione delle varie Corti nazionali. Per capirci: questa
percentuale a Roma è del 36% mentre a Milano del 10%. «Togliere la prescrizione non
basterà ad assicurare il legittimo andamento della giustizia e a salvare quanto
stabilito in primo grado», continua il presidente dell’Ucpi. Si stima per
giunta che lo stop porterà molti uffici ad avere circa 30 mila procedimenti in
più ogni anno, il che lascia solo immaginare la velocità che la catena
operativa assumerà a pieno regime.
Detto questo, lo snellimento del sistema giuridico italiano non è certo
questione per cuori deboli. La struttura penale ha bisogno di una rigenerazione
in senso lato, a partire da idee di ispirazione internazionale e al contempo
fedeli alla Costituzione. Quelle stesse idee proposte e riproposte durante i
tavoli di lavoro con lo stesso Bonafede. «Per immaginare riforme per il codice
di procedura penale, del quale abbiamo discusso con lo stesso ministro della
Giustizia durante il tavolo di confronto, che favoriscano una velocizzazione
dei processi bisogna guardare a soluzione tipiche di tutti i sistemi
processuali accusatori. Questi riti alternativi possono essere il
potenziamento del rito abbreviato, il potenziamento dell’udienza preliminare e una fortissima depenalizzazione». Quindi, ripetiamo la domanda
ancora e ancora: Perché partire dalla fine? Perché partire proprio dal rimedio
al processo troppo lungo?
Da Linkiesta
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