Riaprire è rischioso, ma necessario

Si riparte cominciando a riaprire, dopo mesi di parole e di propaganda a vuoto, dopo sterili scontri tra aperturisti e sostenitori delle chiusure, abbiamo un punto fermo. Il premier Draghi si è caricato sulle spalle il “rischio ragionato” di dare una tabella di marcia delle riaperture. A differenza di Conte, maestro della sterile mediazione e del rinvio, il premier ha deciso. Se andrà bene, la vittoria avrà molti padri, se andrà male la sconfitta sarà solo sua. Dal punto di vista sanitario, con l’attuale numero di ricoverati nei reparti e nelle terapie intensive è difficile pensare di riaprire, soprattutto viste le difficoltà del reperimento dei vaccini, se la si guarda invece dal punto di vista economico è evidente che è altrettanto difficile non riaprire. I sostegni, per quanto abbondanti in assoluto, venendo necessariamente spalmati su di una platea larghissima, hanno l’effetto di una breve pioggerellina in tempo di siccità. La decisione di Draghi tiene insieme tre cose: la tutela della salute, quella dell’economia e la sostenibilità del bilancio, che senza la crescita del Pil non si reggerebbe. Inutile nascondersi che la decisione presenta numerosi rischi, ma in due mesi non si poteva porre rimedio ai molti errori commessi in oltre un anno di pandemia, figli del fatto che la classe dirigente politica e amministrativa del Paese è un mezzo disastro. Il covid è un virus micidiale che colpisce i punti deboli delle persone e mette in luce la deficienza degli Stati. Le inefficienze dell’Italia con cui convivevamo seppur con fatica in tempi normali, sono emerse tutte in un momento di straordinaria difficoltà. Il titolo V, voluto dal Pd, ha portato alla luce una sanità arlecchino, con le regioni che non solo hanno mostrato livelli di capacità sanitaria diversa, ma pure la tendenza ad andare per proprio conto, mentre il governo centrale non è stato capace di accentrare le decisioni che la Costituzione gli assegna. Parliamo ovviamente del governo Conte due, che ha dichiarato a gennaio 2020 “siamo prontissimi” e poi si è scoperto non essere vero. Mancava tutto, ad iniziare dal piano pandemico, che avrebbe dovuto prevedere le scorte dei dispositivi di sicurezza e le esercitazioni delle strutture sanitarie. Certo i problemi erano antichi, ma dopo il duro lockdown della scorsa primavera che aveva piegato il contagio, non si è provveduto né a cambiare i dirigenti ministeriali che non avevano fatto nulla in passato e che nonostante ciò, avevano fatto carriera, non si è aumentata la capacità delle terapie intensive, quella dei trasporti, coinvolgendo i privati, a cui venivano pagate le casse integrazione e dati i ristori. Non si sono scaglionati gli orari di accesso al lavoro e alla scuola, mentre la dad e il lavoro a distanza sono state, data la situazione del Paese, un insuccesso annunciato, che ha reso la vita difficile ai cittadini, agli studenti e alle famiglie. E’facile dire che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche devono lavorare da casa, senza preoccuparsi dei disservizi che questo provoca, è facile bloccare gli sfratti scaricando il costo sui proprietari. E’ facile fermare i licenziamenti senza pensare ad una indispensabile riforma degli ammortizzatori e delle politiche attive. Mentre veniva indebitato il Paese per una cifra colossale, non è stato messo in cantiere uno straccio di riforma, il Parlamento è di fatto rimasto chiuso, mentre avrebbe potuto occuparsi di riformare burocrazia, codice degli appalti e giustizia civile, sapendo che erano riforme indissolubilmente legate al recovery plan.  Ora il malessere delle partite Iva è scoppiato, in attesa dell’esplosione del malessere dei disoccupati. Le partite Iva hanno molte ragioni nel chiedere le riaperture, la prima è che mentre a loro è stato chiesto di investire in sicurezza per riaprire, governo e regioni hanno fatto poco per attrezzarsi a gestire al meglio la pandemia. La seconda è la follia dei codici Ateco: chi vende abbigliamento per bambini resta aperto, anche se vende altro e chi non lo vende chiude, anche se i rischi sono gli stessi e bassi. Si poteva decidere di aprire tutte le attività dove si entra con la mascherina in modo contingentato e se necessario di chiuderle. I commercianti hanno dovuto chiudere, mentre i rivenditori on line “mangiavano” il mercato, in parte irreversibilmente. Non è facile dirlo, ma si è allargato il solco tra chi uno stipendio o una pensione li aveva garantiti e chi invece vedeva ogni giorno avvicinarsi l’orlo del baratro e questo non ha riguardato solo le partite Iva, ma pure i cassintegrati. In fondo l’onda del disagio sociale non è stata neppure troppo forte, se consideriamo che le distanze sociali sono enormemente aumentate. Verrebbe voglia di prendere a calci tutti i soloni che hanno inventato il termine “distanziamento sociale”, anziché fisico al fine di evitare il contagio, il segno più evidente della confusione e della cacofonia dei cosiddetti scienziati. Se abbiamo mancato l’obbiettivo del distanziamento fisico, visti i contagi, di certo abbiamo realizzato il distanziamento sociale. Visto anche il caos europeo sugli acquisti dei vaccini, a Draghi non restava altra strada di quella intrapresa. Speriamo solo che oltre che un leader coraggioso, sia anche fortunato.

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