Renzi sbaglia a fare l’accordo con la sua sinistra

Dal punto di vista emotivo e sentimentale è comprensibile che molti elettori del Pd si augurino un accordo con i fuorusciti guidati da Bersani, nella speranza di vincere le elezioni o almeno di mutilare il successo dei Cinque Stelle, ma soprattutto del centro- destra. Però se questo accordo dovesse avvenire a prezzo della sconfessione delle politiche che Renzi ha fino a qui affermato, come il jobs act, ciò segnerebbe non solo la fine di Renzi, che in ogni caso ben difficilmente tornerà ad essere premier, ma del renzismo stesso, cioè dell’idea di una sinistra riformista che si sposta al centro, su temi come appunto il lavoro, l’immigrazione e la sicurezza. Non voglio affermare che le politiche renziane siano buone, anzi spesso il riformismo renziano si è rivelato pasticcione e populista, privilegiando la ricerca del consenso verso alcuni gruppi sociali, attraverso un utilizzo spregiudicato dei bonus, anziché costruire politiche di lungo respiro, guardando al futuro del Paese. Resta però il fatto che la rottamazione non doveva riguardare solo alcuni dirigenti, ma le politiche consociative e il superamento del potere di veto di un sindacato arroccato nella difesa dei garantiti. Invece, complice una legge elettorale che incomprensibilmente Renzi ha preferito al cosiddetto tedesco, un proporzionale con sbarramento al 5%, stiamo assistendo ad un ritorno al passato. In primo luogo nelle persone: il richiamo in servizio di Fassino, Prodi e Veltroni, ci riporta addirittura ad un’epoca perfino antecedente alla segreteria Bersani. Poi il ritorno non solo dell’articolo 18, della modifica delle pensioni e dell’idea di poter governare con più deficit, presentano all’elettorato la solita sinistra che non riesce a convincere e vincere, preparando stagioni non di stabilità, ma di rissosità, nè serve giustificarsi, dicendo che il centro- destra ha lo stesso problema. Se l’orologio torna a prima di Renzi, il ducetto fiorentino non solo perderà il potere, ma anche la faccia e una simile coalizione non sarebbe comunque in grado di vincere le elezioni. I socialdemocratici tedeschi, quando nacque la Linke, non tornarono indietro, non gli è andata bene, ma non è detto che se fossero tornati al passato gli sarebbe andata meglio. Resta che data la situazione, sarà più facile accordarsi dopo, che convivere forzatamente. Anche lo ius soli e il fine vita, due leggi sulle quali serve un dibattito serio e approfondito, non possono essere approvate a colpi di fiducia da un Parlamento morente, spaccando il Paese al fine d’ imbarcare la sinistra o anche solo il fragile Pisapia. Soltanto l’ipocrisia politica può far finta di non vedere che non si possono tenere insieme ius soli e finanziamento dei lager libici, per contenere i profughi. Si dirà che sono cose diverse, è vero, ma purtroppo nella percezione delle persone i due temi si sono saldati, per questo è necessaria una riflessione e una spiegazione non frettolosa della cittadinanza agli immigrati regolari, con una più precisa definizione dei criteri e dei doveri. Avanti su questa strada, a Renzi restano tre possibilità: vincere le elezioni, con o senza Mdp, imbarcando  Pisapia, già di Rifondazione comunista, la Bonino, ottima persona, già eletta nel ’94 con Forza Italia a Padova, il finiano Della Vedova e, dulcis in fundo, il sempiterno Casini,come si vede, una sagra dell’usato insicuro. La seconda possibilità è di essere sconfitti, quindi di perdere appunto poltrona e identità, la terza è che una volta perso, Renzi si ritiri come Cincinnato o, conoscendone la forte volontà di potere, il nostro sia costretto a lasciare lui il Pd, quindi a diventare secessionista. Dietrologia? Può darsi, come può darsi che a volere lo scalpo del rottamatore siano più gli alleati, che gli scissionisti.

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