Non tutti i luoghi della memoria hanno storie fortunate, anzi, il Lingotto ha visto il tramonto della grande Fiat, fabbrica automobili di Torino. Poi non ha portato bene al Pd a vocazione maggioritaria di Veltroni, visto che alle elezioni fu sconfitto e neppure di poco dal grande Satana, Berlusconi, si dimise annunciando che sarebbe andato in “esilio” in Africa. Neppure a Renzi il Lingotto sta portando fortuna: il passaggio dall’Io renziano al Noi collegiale registra due candidati antagonisti, che fanno chiaramente capire il loro anti renzismo. Orlando si candida per gli ex comunisti, è la prima volta che la divisione è così netta ed Emiliano per quelli a cui sta sulle palle il Tartarino di Firenze. Sarà difficile declinare con loro il noi. Nelle file renziane, ancora vincenti, il passaggio dall’io al noi è stato interpretato come il segnale di tana libera per tutti, ognuno si fa la sua corrente, pardon, componente: Martina, diversi ma uniti, Orfini, mai con Alfano, Franceschini, domani con Berlusconi, il giglio magico, dalla Consip a Medjugore. Insomma, rottamati i vecchi protagonisti dei caminetti, Renzi se ne trova di nuovi, che gli diranno: io sono azionista del noi, come dice una vecchia canzone, come prima, più di prima… Il Lingotto è stata una tre giorni dell’orgoglio, ma davanti ai protagonisti si presenta un quadro di ingovernabilità, frutto dei loro errori, su cui non si sono sentite riflessioni. E’ vero, Renzi e la Boschi hanno parlato delle loro ferite, senza dire che avevano lanciato una sfida agli italiani e gli elettori gliele avevano suonate. Insomma, dal Lingotto escono un Renzi indebolito, un Pd diviso come prima e dimagrito dalla scissione, che potrebbe ingrossarsi, in caso di pesante sconfitta di Orlando. Un Paese che torna al proporzionale, con gravi rischi di ingovernabilità, altro che vocazione maggioritaria, per un governo ci vorranno i diciotto partiti dell’ulivo prodiano e senza confini né a destra né a sinistra, poi non è detto che basti! Io avrei scelto un altro luogo, ma, come diceva Veltroni, non s’ interrompe un’ emozione, neppure in caso di sconfitta elettorale e allora, tu chiamale se vuoi, scissioni.
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