Qualche riflessione a margine dell’articolo del Prof. Galli della Loggia su IL CORRIERE DELLA SERA del 26 agosto.
Nel corso dell’estate, Ernesto Galli della Loggia è intervenuto più volte per ricordare l’assenza di una vera rappresentanza dei “moderati” nell’Italia repubblicana e per sdoganare sul piano culturale la parola “destra”, invitandoci tutti a “ridurla” meramente a ciò che “non sta a sinistra” e, quindi, a un’offerta politica alternativa alla sinistra che non agiti i fantasmi di ciò che storicamente, almeno in Italia, è stata la destra, un mix tra fascismo, postfascismo, monarchia, clericalismo, populismo e leghismo xenofobo antiunitario che è il contrario dei connotati che l’autorevole editorialista auspica per una destra moderna, occidentale ed europea.
Un’alternativa, quindi, che sia “riorganizzata e integrata da un’iniziativa che parta dal Centro” (Della Loggia, Corriere della Sera, 26 agosto), giudicata “ragionevole e auspicabile” anche se “oggi difficile da immaginare”.
Non ho la pretesa né l’autorevolezza per confutare il Professor Galli della Loggia, ma sommessamente vorrei dire che la difficoltà nel conciliare ciò che è ragionevole ed auspicabile con la realtà sta proprio nel presupposto che se non errato è certamente molto discutibile.
In Italia, come in Europa, non siamo in presenza di “una” destra – intendendo per “destra”, appunto, ciò che “non sta a sinistra” – con accentuazioni più o meno liberali o più o meno conservatrici, ma tutte dentro a una storia che ha acquisito i valori fondanti della cultura liberale e democratica dell’Europa occidentale. Sia in Italia che in Europa si agitano, nel fronte che “non sta a sinistra”, fantasmi non poi così diversi (mutatis mutandis) rispetto a quelli del XX secolo (il fascismo, il nazismo, il franchismo, ma anche i loro epigoni recenti greci o portoghesi) o del XIX (il nazionalismo autoritario), ma comunque coerenti con quella che, per approssimazione che il lettore mi perdonerà, possiamo definire la deriva reazionaria della destra europea, frutto anche del fallimento dei regimi “liberalborghesi”. Le Pen, gli xenofobi fiamminghi, gli indipendentisti nazionalisti britannici o finlandesi, l’estrema destra austriaca o molti movimenti nazionalisti, euroscettici o antieuropeisti, che sono rappresentati nel Parlamento Europeo (circa il 20%, collocati in gruppi autonomi o tra i “non iscritti”, ma anche nel PPE) sono di “destra” perché “non stanno a sinistra”, ma non sono certo portatori di una visione moderata, liberale, anche conservatrice se vogliamo, che possa considerarsi alternativa democratica alla socialdemocrazia.
Tutti i paesi europei sono attraversati da questi fenomeni “reazionari”, caratterizzati dal riemergere del nazionalismo esasperato, dall’odio per il diverso, dalla cultura ispirata allo “scontro delle civiltà”, dal protezionismo nel commercio internazionale, dalla convinzione che la democrazia debba essere diffusa nel mondo “sulla punta della spada”, da una visione sostanzialmente autarchica e autoritaria.
Ma tra l’Italia e l’Europa c’è una profonda differenza: in Italia si è ritenuto che il “non stare a sinistra” fosse condizione sufficiente per stare tutti insieme contro “i comunisti”, senza tenere conto delle profonde differenze che ci sono all’interno del campo che “non sta a sinistra”, differenze che attengono ai valori prima ancora che ai programmi! L’UMP e l’UDF si sono mai alleate con Le Pen in Francia? E la CDU con i Republikaner? Piuttosto han fatto votare i socialisti gli uni e dato vita alla “grande coalizione” gli altri che favorire o farsi favorire dall’estrema destra.
In Italia non è stato così! Da Berlusconi e dai “suoi” la convivenza con la destra reazionaria non solo è stata “accettata”, ma è stata “”voluta” e perseguita perché quella è la sua visione e le sue relazioni internazionali con autocrati, oligarchi e dittatori di ogni tipo lo dimostrano chiaramente.
Questa è la ragione per cui molti che “non stanno a sinistra” – a cominciare da me – non possono dirsi “di destra”!
La storia degli ultimi vent’anni ci dice che “la sinistra” non ha mai superato il 35% e che solo la presenza di questa destra ha spinto molti “moderati” (laici e cattolici) a votare il centro sinistra e a scegliere dapprima un partito non di sinistra, ma di centrosinistra, come la Margherita, e poi a mantenere il consenso al PD in funzione “antidestra” (questa destra!). A questa “fetta” di elettori che “non stanno a sinistra” (anche se molti hanno votato Margherita e PD nel 2008 e 2013), alle ultime elezioni è sta proposta un’altra offerta politica – SCELTA CIVICA – che ha raccolto il 10% (non molto, ma neanche così poco), che, certo, non ha saputo trasformarsi velocemente in un partito capace di scompaginare quegli schieramenti come pure si era prefissata di fare, ma che non per questo ha perso la sua ragione di essere. Io non posso credere che il prof. Della Loggia ritenga che in Europa e, quindi, anche in Italia, si possa costruire l’alternativa alla sinistra, fosse anche la più bella esperienza “socialdemocratica”, tenendo insieme tutto ciò che “non sta a sinistra”.
Non è possibile!
Il “non stare a sinistra” non può essere un cemento morale, culturale e politico sufficiente per realizzare l’obiettivo di una “destra” sdoganata non solo nel lessico, ma anche nella prassi politica. E allora? “SC o non SC”, “qualcuno” che lavori per unire i democratici che non si riconoscono nella storia del socialismo europeo (qualunque sia il partito che hanno votato negli ultimi anni), ci deve essere.
Non si tratta di rifare l’ennesimo “centrino”, ma di unire quel 25% di italiani che non “sta a sinistra” e che rifiuta la definizione di “destra” fino a quando l’unica destra legittimata a dirsi tale sarà “questa destra” e fino a quando l’influenza di Berlusconi e dei tanti “berluscones” che agiscono, al centro come in periferia, non sarà superata da una nuova classe dirigente, espressione di una nuova forza politica che rappresenti sì un “competitor” della sinistra ma che sia anche chiaro e limpido, oserei dire “radicale”, nella sua fedeltà alla legalità repubblicana, al liberalismo democratico, ai principi di sussidiarietà, alla laicità (senza che questo comporti il misconosce il ruolo pubblico delle religioni), alle ragioni del merito e della solidarietà.
Questa forza (che “può” essere SC, ma che non necessariamente “deve”) deve insistere, non deve rinunciare frettolosamente a diventare la prima forza del Paese, quanto meno la prima forza di quelli che “non stanno a sinistra”, perché solo così può sdoganare i milioni di “moderati” che, pur di non votare “questa” sinistra, si sono affidati a “questa” destra.
E’ a loro direttamente, non ai partiti e alle classi dirigenti che portano sulle spalle la responsabilità di avere tradito quella fetta di elettori democratici che “non stanno a sinistra”, conducendoli nel vicolo cieco del populismo, che occorre rivolgersi per “scomporre” e “ricomporre” il quadro politico, isolando la destra lepenista e la sinistra estrema, e proponendo una dialettica democratica fondata sull’alternanza tra liberaldemocratici e socialdemocratici nel comune riconoscimento del valore fondante della Costituzione repubblicana e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che è l’unico modo per pacificare il Paese.
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