120 condanne per altri 1200 anni di carcere, che si aggiungono a quelle comminate in via definitiva ai riti abbreviati, fanno un numero difficile da immaginare, ma nonostante la voglia di molti a Reggio Emilia di vergare la parola fine, l’impressione, come scrive P.Luigi Ghiggini su questo giornale, è che si tratti di un inizio. Viene confermato ciò che per anni non in molti abbiamo scritto: Reggio non era una Città diversa, ma profondamente infiltrata dalla ’ndrangheta, una Città dove non mancano i reati, ma mancavano le indagini. Una Città dove il partito egemone, ora Pd, ha negato il fenomeno, isolato i pochi che denunciavano, mentre trovavano spazio e udienza quelli che oggi sono condannati. Certo un processo di queste dimensioni avrebbe dovuto avere una maggior risonanza sia a livello locale che nazionale, ma ha pesato il fatto che tanto marcio avvenisse in una Città progressista, medaglia d’oro della Resistenza e perciò stesso dotata di anticorpi, non solo contro il ritorno del fascismo, ma contro ogni malattia. Ora che sappiamo che la ’ndrangheta esiste, le condanne di Aemilia non l’hanno certo sradicata, continuiamo a negare che ci siano le mafie nigeriane e cinesi, almeno fino alla prossima retata. Il motto del potere cittadino è negare, negare sempre, anche con le mutande in mano. Propinare la favola bella della Città diversa e migliore, per merito di chi la governa da sempre, negare che vi siano problemi di sicurezza, di immigrazione, di emarginazione e di mafia. Diciamo subito che invece è un gran giorno per Reggio, però restano molte zone d’ombra, come se si fosse rotta una matrioska, per scoprirne un’altra al suo interno. Restano sospese molte domande: come è stato possibile che costoro abbiano costruito pezzi di città e di paesi della provincia, senza avere rapporti con il potere politico e burocratico? Come hanno potuto agire nel settore trasporti e movimento terra o avere subappalti, senza committenti? Come hanno potuto aprire esercizi commerciali? Come è possibile che abbiano infiltrato il comune di Brescello, senza che via sia un indagato tra gli amministratori e i funzionari? Come si vede non sappiamo nulla di quello che viene definito il secondo livello. Come poco sappiamo del coinvolgimento dei colletti bianchi, che devono per forza aver consigliato procedure, investimenti, progetti, ecc.. Il presidente Caruso stesso non ha ritenuta conclusa la vicenda, inviando alla Procura i verbali di una quarantina di testimoni, per verificare che non abbiano reso dichiarazioni false e reticenti, oltre a numerosi rinvii per il reato di bancarotta fraudolenta. Ghiggini scrive che è il momento del chi “chi sa parli”, io temo non parlerà nessuno, come è già accaduto per gli omicidi del dopoguerra, non perché la città sia omertosa, ma perché chi ha governato da sempre sa che certe verità potrebbero decretare la fine del suo potere. Confidiamo che il nuovo Procuratore Mescolini, già pubblico ministero del processo Aemilia, apra una stagione seria di indagini, se non altro per separare il grano dalla gramigna e togliere la cappa di sussurrato sospetto che grava sia sul livello politico, che amministrativo. Non possiamo fermarci alla prima matrioska, se vogliamo che Reggio torni ad avere il ruolo e il rispetto che le compete. Un ruolo importante lo avrà la sinistra di governo e il suo popolo, il silenzio e l’opacità di certi comportamenti, servono a guadagnare tempo, ma non a ripartire. A questo popolo che merita tutto il nostro rispetto, tocca il compito di dare un segnale di cambiamento, anche in vista delle amministrative. Personalmente credo che gli ultimi sindaci di Reggio siano persone perbene e che abbiano anche fatto cose importanti, come ad esempio la stazione Mediopadana, ma non si può non rimarcare una certa reticenza rispetto alle domande a loro rivolte, rispetto all’acquisto e ristrutturazione dell’abitazione, ai viaggi elettorali a Cutro o agli incontri sollecitati al Prefetto De Miro, la prima ad aprire una falla nella diga, con le sue interdittive. Riconosciuta, fino a prova contraria, la correttezza di tutti, non si può negare che esistano gravi responsabilità politiche nel non aver visto o addirittura negato il fenomeno mafioso. Poiché nel Pd sono molto severi verso l’etica degli altri, sempre pronti a ricordare anche le responsabilità oggettive, ora siano coerenti e provvedano a riconoscere di aver avuto almeno questa responsabilità, nella speranza che si faccia piena luce sulle responsabilità soggettive e che si spezzi l’ultima matrioska.
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