C’è tutta una polemica tra i difensori dei muri (che non lo dicono) e quelli dei ponti (che lo dicono troppo spesso). Io credo che tutti gli insistenti e i “troppo” disquisenti di queste due fazioni appartengano all’insieme dei cretini. Già basterebbe aver fatto la scuola dell’obbligo con un minimo di attenzione ai libri e non alle felpe o alle scarpe altrui, per capire che i muri stanno fuori e i ponti stanno dentro. A cosa servono i primi: a dividere, a rimarcare la diversità, reale o fittizia. E i secondi non sono altro che la necessità viaria, quindi il sistema di comunicazione rapida. Tutti i grandi imperi e le grandi nazioni hanno avuto muri e sono stati grandi costruttori di ponti. Per cui questa polemica non è solo sterile, ma foriera della patente di cretino. Anche perché la divisione per necessaria diversità molte volte è una balla pretestuosa. I romani facevano muri per “distinguersi” dai barbari e assoldavano i medesimi per farli combattere per loro contro “altri” barbari, in difesa dei loro “muri”. Il risultato finale fu la caduta dell’impero romano. La Grande Muraglia Cinese, nata per dividere stati cinesi in guerra tra di loro, diventò, con l’unificazione dell’impero cinese, una strada di collegamento tra nord e sud. La cortina di ferro dell’URSS cercava di trattenere chi stava dentro, ma non ha mai impedito di far entrare chi stava fuori. Il vero problema però non è tanto quello dei muri e dei ponti fisici, ma soprattutto quelli di pensiero. Quando due statisti si incontrano e vanno a colloquio che fanno? Ammettono che tra i loro stati ci sono “muri” e col colloquio (e magari successivi trattati) tentano di costruire “ponti” che in qualche misura scavalchino i primi. Poi i “ponti” possono essere reali o di facciata (o anche peggio). Spesso sono fatti per “promuoversi” con i propri cittadini. Si può pensare all’accordo tra Hitler e Stalin del 1939 (e nel 1941 Hitler invase la Russia). O agli accordi che hanno portato alla costruzione (sempre più traballante) dell’UE. Certo ora non abbiamo più passaporti, e in molti casi, una moneta unica, ma non abbiamo la stessa previdenza sociale, non paghiamo le stesse tasse, e tendenzialmente ogni nazione si fa i fatti suoi. Oppure possiamo parlare di Trump a colloquio con Kim Jong-un o con Xi Jinping. I muri sono evidenti, i ponti meno. Se poi andiamo a guardare nello specifico dei muri, oltre a quelli di “confine” ci sono quelli, molto più perniciosi, della religione. Di solito il popolo vincitore tendeva ad imporre ai vinti i propri Dei. I romani (quelli dell’impero, non quelli della Raggi), vecchie volpi non lo fecero, anzi “importarono” molti degli Dei altrui. Questo permise loro di “allungarsi” la vita. Perché tutte le religioni predicano l’amore, ma finiscono per usare la spada. Quella propria (scomuniche, anatemi, ecc..) o quella del potere politico (con cui, guarda caso, si sono alleati). Un esempio eclatante fu Lutero: la sua Riforma non gli sarebbe sopravvissuta se non si fosse trovato uno “sponsor”, i principi tedeschi, che mal sopportavano l’imperatore (austriaco) appoggiato dal Papa. In poche parole: i ponti sono necessità e i muri sono casualità e in questo momento, da genovese sto con i ponti, perchè quando “mancano” si vive male e si vede una città affondare e neanche tanto lentamente, ma non dimentico nè i cattivi “pontieri”, né quei muri contro cui mi sono rotto le corna.