Poletti e le verità nascoste

 Chi ci dice che il ministro Poletti non sia una matrioska che nasconde al suo interno una sorpresa? Chi ci dice che il pirla non sia lui, ma noi, che non comprendiamo le sue verità nascoste? Il pingue ministro non sarà brillantissimo, ma è felice di esserci e questo, in periodi di depressione generale, è una bella cosa. Sa godere ciò che la fortuna e il partito gli hanno garantito: carriere, stipendi e visibilità, insomma, chi si contenta gode. Il nostro simpatico e ridente ministro si presenta in una scuola e dice agli studenti che per lavorare non serve tanto il merito, ma saper giocare a calcetto con le persone giuste. Tutti insorgono, ma è la verità: questo è il Paese della “raccomandazione”, degli amici di famiglia, non certo di chi invia curricula grondanti di titoli, che nessuno legge. Ha pure lasciato intendere agli studenti che giocare sui campetti di calcio dell’Arci è meglio ancora, un posto da funzionario in una cooperativa o da assessore non te lo nega nessuno. E se ti muovi bene tra la correnti del Partito, poi fare tutti e due i “lavori”, si fa per dire, e pure diventare ministro. Dopo la fusione tra Pds e Margherita a formare il Pd, vanno molto anche i campi parrocchiali, anche da lì si può andare, senza curriculum, in un assessorato o in una cooperativa sociale, finanziata magari dallo stesso comune e magari puoi finire ministro. So che qualche maligno penserà a Delrio, che viene dai campi di calcio, ma non è vero, lui ha una laurea in medicina e faceva il ricercatore all’Università, ma intorno a lui gli esempi si sprecano. Dunque, invece di laurearti e inviare inutili curricula, frequenta una sede del Pd e avrai un posto, magari pure con una laurea in scienze politiche, presa in comode rate di un esame all’anno, senza interessi. Pure questa verità il Poletti l’aveva enunciata:  a che serve prendere una laurea con trenta e lode a trent’anni, meglio prenderla, come suo figlio, comodamente verso i quaranta, mentre si lavora in una cooperativa associata alla Lega Coop. Ma forse nello scrivere queste parole, sono ingiusto, le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, anche se in questo governo il problema esiste, pensiamo al padre di Renzi, della Boschi, di Lotti, i figli fanno bene a stare in apprensione. Poletti ci dice che lauree e voti alti servono a poco e tutti lo insultano, invece ci sta dicendo un’altra verità. La ministra dell’Istruzione, Fedeli, una laurea non l’ha, anche se ha tentato di dirci il contrario e la  Madia l’ha presa, pare dando un’ occhiata alle tesi altrui, eppure le loro carriere non ne hanno risentito. Poletti lo aveva detto che qui non siamo nel Nord Europa, qui non se ne va chi mente o copia,  se ne vanno quelli che una laurea l’hanno presa davvero e con voti alti, infatti vanno all’estero. Il mitico Poletti su di loro dice alcune altre verità: certa gente è meglio perderla che tenerla. Vero, non sapremmo che fargli fare, ce lo vedete uno che ha solo e sempre studiato, a fare l’assessore o a portare al fallimento una cooperativa? Poi quelli che se ne vanno non sono i più intelligenti, è vero, non sono neppure i più intraprendenti, infatti non giocano a calcetto, non curano le relazioni, non copiano le tesi. Possiamo riconoscergli la capacità di mettersi in gioco? No, semmai quella di mettersi in fuorigioco. Peccato che il Pd, il partito che ti segue dalla culla, con gli asili più belli del mondo, alla bara, con i servizi della Croce Verde, non possa più garantire posti a tutti, forse perché un po’ di meritocrazia aiuta e qualche ragioniere a far di conto è meglio di sociologi e studiosi della politica. Forse perché giocando a calcetto siamo arrivati al 40% di disoccupazione giovanile, pazienza, dice il Poletti, abbiamo fatto molto e faremo di più. L’export tira e anche l’import grazie a barconi di immigrati, offre nuove opportunità di lavoro alle cooperative sociali e se invece di un Presidente e un vice, ne facessimo quattro, la disoccupazione giovanile scenderebbe, almeno quella di chi frequenta i campetti dell’Arci e delle parrocchie democratiche. Poi la decrescita può pure essere felice, guardate lui: è il perfetto esempio di chi si contenta gode, certo la regola funziona meglio se si ha molto.

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