Rafforzare le istituzioni comunitarie contro i rischi del nazionalismo
La proposta del Vicecancelliere tedesco, il liberaldemocratico Westervelle, di eleggere direttamente il Presidente della Commissione Europea (che fu già uno dei cavalli di battaglia di alcuni di noi al termine della scorsa legislatura) riapre il tema del rafforzamento del processo di integrazione europea. In questo passaggio cruciale della storia,in cui il mondo globalizzato richiede che i grandi temi della governance mondiale (non solo economica, ma ambientale, della sicurezza, del commercio, delle comunicazioni, della moneta) siano affrontati da soggetti in grado di interloquire sia in termini “quantitativi” sia “qualitativi”, il bisogno di “più Europa” diventa un’impellente necessità.
Sarebbe ingiusto non cogliere quanto fatto in questi anni in termini di “riforme strutturali” (si direbbe da noi…..) nell’UE. La crisi ha trascinato con sé un nuovo, più democratico Trattato, rafforzando il potere legislativo del Parlamento; dal “six pack”, al fondo “salva Stati” si sono introdotte nella legislazione comunitaria regole e strumenti di governo dei bilanci e dei mercati finanziari assolutamente inconcepibili solo 5/6 anni fa.
È caduto persino il mito di una BCE “solo” guardiana della stabilità dei prezzi, con iniezioni dirette ed indirette di liquidità nel sistema per circa 1500 mld di euro, tra prestiti all’1% alle banche ed acquisti di titoli del debito pubblico dei Paesi in difficoltà. Ancora pochi anni fa, un così incisivo “commissariamento” degli Stati nazionali, sancito dal “fiscal compact“, il nuovo Trattato intergovernativo, per quanto criticato e criticabile, avrebbe sollevato, non solo tra euroscettici ed antieuropeisti, grida manzoniane in difesa della “sovranità nazionale”.
Ma nella realtà dei fatti e nell’immaginario collettivo tutto ciò non è ancora sufficiente. Occorre aumentare la pressione per una maggiore integrazione politica europea che, a mio avviso è la vera priorità delle Autorità continentali. Non ci potranno essere adeguati strumenti di disciplina e controllo dei mercati finanziari, di entrate proprie, di politiche di bilancio consolidate e di rafforzamento ulteriore degli strumenti a difesa della moneta, di governo del debito pubblico, ivi compresa la possibilità di emettere titoli europei per finanziare gli investimenti, di riscrittura delle tutele del lavoro e di disciplina dell’immigrazione, di protezione dei confini dell’Unione se non acceleriamo verso quella prospettiva federale che i “padri fondatori” avevano immaginato.
A chi crede che la “questione sociale” possa trovare soluzione solo nella “rinazionalizzazione” delle politiche, magari motivandole, come sta facendo Hollande, con la necessità di ridurre l’egemonia tedesca, va risposto che il neonazionalismo, di “destra” o di “sinistra” che sia (e che si annida anche in una fetta importante della tradizione socialista francese e non solo), è il vero nemico, oltre che della democrazia, anche di efficaci politiche per la crescita perché ostacola le possibilità espansive del mercato interno, ancora così carico di barriere da rimuovere.
Maggiore integrazione politica e rafforzamento dell’economia sociale di mercato (che sono cosa ben diversa, in questo secolo caratterizzato da un elevato debito pubblico, dal “modello socialdemocratico”, statalista e basato sul “deficit spending”) sono obiettivi, che – come Europei – dobbiamo perseguire, se non vogliamo scomparire tra le grandi “regioni” del mondo e che dobbiamo mettere al centro del dibattito in vista delle prossime elezioni, nazionali ed europee.