Dopo quarantanni di peana di piccolo é bello, riferito all’industria ci si é attaccati a: “le PMI sono l’ossatura industriale del paese”. É drammaticamente vero, nel senso che ormai di grandi industrie in Italia ne sono rimaste pochine, troppo poche e quindi le PMI, la cui vocazione precipua é quella di fare del contoterzismo, soffrono la concorrenza di paesi con manodopera a miglior prezzo e soprattutto meno lacci e lacciuoli sindacali. Ma le favole continuano. Nessuno parla dell’indebitamento medio delle PMI e di come molte non vengano fatte fallire dalle banche, perché queste ultime dovrebbero poi portare le perdite a bilancio e quindi, ora con i tassi d’interesse sotto i tacchi, é meglio avere un moribondo in casa che non un morto al camposanto. Tutto questo é noto a politici, banchieri ed economisti, ma che poi qualcuno si prenda la briga di vedere cosa si può fare per rimettere in carreggiata le PMI ecco questo non é dato. Parliamoci chiaro un’azienda, soprattutto se ha un suo prodotto finito, NON può stare ferma, a meno di particolarissime eccezioni, o vivacchi o muori. Quindi si nasce artigiani, si diventa piccola impresa, poi media, poi grande. Tutti questi passaggi vengono fatti con integrazione di capitale e di solito con prestiti bancari. Che dovrebbero essere concessi sulla solidità del richiedente e dopo un’analisi degli investimenti. In Italia invece sulla solidità delle “amicizie” o sulle proprietà private del richiedente. Altro dramma é che chi ha fondato un’azienda dovrebbe rendersi conto se é realmente in grado di gestirla o se ha bisogno di competenze tecniche “esterne” . Qui da noi i manager o sono amici di amici o sono parenti, di solito figli. Da cui l’altissima mortalità delle PMI (oltre la terza generazione ci arrivano meno del 40% delle aziende). Siamo ancora nella fase letterale del marxismo: il proprietario é il padrone e contro di lui, sfruttatore, lottano i sindacati in difesa delle anime candide e belle: i dipendenti. Risultato: il proprietario si circonda di scherani di sua fiducia, indipendentemente dalle competenze richieste, e gli operai,gli impiegati di solito sono gli scherani, aspettano i momenti di crescita aziendale per fare scioperi che li portino ad un miglioramento salariale. Risultato finale, si allungano le consegne, si diventa meno affidabili, si perdono i clienti. A tutto questo si aggiunge il fatto che per crescere di solito si acquisisce o ci si fonde con realtà analoghe. Acquisire é difficile per mancanza di capitali, fondersi é impensabile perché alla domanda chiave chi comanda, non si trovano risposte. E nessuno dà una mano: non la politica, non le banche, non gli economisti. E intanto stiamo affondando l’industria di stato, la svendiamo, la facciamo ingoiare ai piccoli azionisti per permettere a pochissimi di comandare con un investimento molto contenuto.
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