Perchè il centrodestra ha perso ai ballottaggi

Coi numeri non si può barare e i numeri dicono che il centrodestra ha ottenuto tre sindaci nei capoluoghi di regione, contro uno del centrosinistra, ma è andato molto peggio nei capoluoghi di provincia, dove ha perso Comuni dove governava, anche da lungo tempo, come Verona e Catanzaro. Le elezioni dimostrano ancora una volta che se il centrodestra non vince al primo turno con il traino delle liste, ai ballottaggi va in genere male anche quando parte con un largo margine. Le ragioni sono diverse: la prima è l’astensionismo che ai ballottaggi penalizza sempre il centrodestra, come dimostrano anche i successi nelle regionali che sono a turno unico. La spiegazione è che non solo il suo elettorato è meno mobilitato, ma anche nel fatto che i candidati sono poco attrattivi verso le aree politiche intermedie, infatti raramente superano i risultati delle liste. La seconda, molto più grave, sono le divisioni che travagliano la coalizione e i conflitti personali, che sono più difficili da superare di quelli politici, fino a provocare autentici suicidi, come a Verona e Catanzaro. La coalizione di centrosinistra è proprio un campo largo, dove i protagonisti sono molto meno omogenei dal punto di vista politico, ma riescono a stare insieme, mentre, perduta la forza coesiva di Berlusconi, a destra né Salvini, né Meloni riescono a farsi carico delle mediazioni necessarie per tenere insieme tutti, compresi i piccoli raggruppamenti di centro. Certo la stella di Salvini sta attraversando un periodo di annebbiamento, ma ci si poteva attendere dalla Meloni un atteggiamento meno frazionista, Catanzaro e Verona si sono perse perché FdI ha voluto correre da sola, Parma si sarebbe persa comunque, ma ugualmente non è stato un bel segnale. Già in passato è successo che il centrodestra perdesse le amministrative e vincesse alle politiche, ma se il dualismo Meloni -Salvini si trascinerà ancora, fino a compromettere anche il risultato delle elezioni regionali siciliane e poco dopo quelle di Lombardia e Lazio, il rischio è che alle politiche Letta che segue le orme di Prodi col suo Campo largo, riesca a vincere, magari di poco. Magari sfruttando al meglio i collegi uninominali con candidature in grado di includere, più di quanto faranno quelle del centrodestra, dove saranno candidati solo esponenti dei partiti. Quanto poi al governare è un’altra storia, ma pure il centrodestra deve sciogliere alcune forti contraddizioni, dalla collocazione internazionale, al programma che dovrebbe essere di stampo liberale. L’idea che lo Stato possa salvare tutto e tutti, si scontrerà inevitabilmente con il rallentamento della crescita e i limiti di bilancio. Gli anni della spesa senza limiti sono finiti, mentre il debito pubblico è salito assieme ai tassi di interesse e alla diminuzione degli acquisti della BCE. Bene il taglio del costo del lavoro, ma bisogna dire dove si troveranno le risorse. A sinistra la ricetta sarà quella di nuove tasse, ma a destra bisognerà accettare l’idea di ridurre il reddito di cittadinanza e non aumentare la spesa pensionistica. Non si può tenere insieme un programma di liberalizzazioni e la difesa di piccoli interessi corporativi, un vizio a cui non sfuggono né Salvini, né Meloni. La cosa più preoccupante per il centrodestra è la perdita di consensi nel Nord produttivo, dove un tempo Forza Italia e la Lega facevano il pieno. Ora questo consenso non è più scontato e la Meloni non si può illudere di compensare da sola le perdite degli alleati. Come si vede, il tempo è poco e la scelta è una sola: fare un salto di qualità o “suicidarsi” come a Verona.

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