Paese ostaggio di una classe dirigente perduta

Nell’ora delle scelte Conte si compiace del rinvio su Mes e Recovery Fund. E le opposizioni si mostrano sgangherate in aula. Il dibattito disvela una crisi diventata di sistema che prefigura come unica alternativa il collasso

By Alessandro De Angelis

Dunque “siamo al momento decisivo” della partita europea, dopo il “successo”, dovuto anche all’azione dell’Italia. È il momento in cui “si gioca la tenuta economica sociale del continente”. Così il premier Giuseppe Conte, parlando di Recovery Fund, alla vigilia del Consiglio europeo, con una certa enfasi che, ancora una volta, rivela una pulsione irrefrenabile a prenotarsi sin d’ora un posto della storia di questo paese. Del resto, poche ore prima, lo aveva fatto la Azzolina, avvezza ormai a parlare di se stessa in terza persona. Ha rivelato che “il ministro sulla maturità si è emozionato” e poi ha definito “storico” l’operato del ministro medesimo.

Questo articolo, a costo di apparire gufi, pessimisti, predisposti al dramma, ruota attorno al concetto di “baratro”, dopo attenta osservazione e ascolto del dibattito in Aula. Il baratro, innanzitutto, tra la pomposità delle parole e della percezione di sé, e la cronaca, così cruda e banale, che ne disvela la fragilità e, diciamo le cose come stanno, la modestia. Davanti all’appuntamento con la storia, e davanti a un negoziato politico che si apre in Europa su un’ipotesi tutt’altro che scontata, con tempi tutt’altro che certi, con l’ostilità dei paesi del Nord, insomma davanti a una battaglia politica vera sui soldi veri dopo una catastrofe epocale, sarebbe stato interesse nazionale chiedere un voto al Parlamento. Ne sarebbe uscito più forte anche il premier, che sarebbe partito per Bruxelles non come un azzeccarbugli che, risolto il problema con Renzi, ora ha un problema con Di Battista, ma come un presidente del Consiglio che ha non solo una maggioranza, ma un paese alle spalle.

Il professor Mario Monti, cui certo non fa difetto serietà e coerenza, nel suo intervento ha ricordato che fu proprio il suo governo a inserire l’obbligo del voto per le questioni più rilevanti, prima di andare in Europa, proprio per rompere quel gioco, fondato sull’ambiguità, che consente di dire “io vorrei ma il mio Parlamento non me lo consente”. Invece c’è Di Battista, ci sono le ambiguità europee dei Cinque stelle, e dunque, poiché non c’è maggioranza in materia, non si può votare e non si può neanche dire la verità. E cioè che faremo ricorso al Mes per forza di cose, perché questa roba del Recovery Fund va per le lunghe, l’esito non è scontato e già si intravede un gigantesco problema di liquidità.

Insomma, nell’ora delle scelte ci si compiace del rinvio come se non avessimo un urgente bisogno di soldi, come se non fossimo colpiti al cuore dalla crisi, il che sta scavando un baratro col paese reale, che ha ripreso a pagare l’Imu e a breve Irpef, Ires, Iva, Tari e relative addizionali regionali, paese segnato da milioni di disoccupati e aziende destinate a non riaprire. Solo in Italia, in un contesto del genere, il presidente dell’Inps può bollare gli imprenditori come “opportunisti e pigri”, senza essere invitato dal governo a fare le valigie. Solo in Italia, in tempi straordinari, il Parlamento diventa la pista di un ordinario ballo in maschera: Renzi, che fino a l’altro ieri voleva tirare giù il governo, interpreta una elegia di Conte, Marcucci addirittura lo ringrazia per la gentile concessione perché “non era tenuto a venire in Parlamento” – in fondo, ha sottratto tempo prezioso al pensoso conclave alla Casina del Bel Respiro – le opposizioni sgangherate che, dopo aver denunciato per giorni di non essere ascoltate, disertano la Camera mentre parla Renato Brunetta, cioè un esponente delle opposizioni. Poi, compresa forse la gaffe, al Senato restano tutte in Aula, applaudendosi a vicenda.

Il Professor Ceccanti, su questo giornale, a proposito di questo Aventino scrive, scomodando il Fronte Popolare e il Pci, che l’Italia ha sempre avuto un’opposizione anti-sistema. A prendere per buona la politologica locuzione (si potrebbe anche aprire un dibattito sul Pci che ha costruito la Repubblica), c’è un buon tasso di antisistema nell’opposizione, intesa come anti-europeismo, ma evidentemente anche nella maggioranza, il che ha impedito il voto su una mozione chiara, definita, unitaria. Ecco, il punto invece è proprio questo: si sta manifestando, in questa emergenza estrema, l’assenza di un elemento essenziale: una forza o di un insieme di forze in grado di avere spinta, coraggio, senso delle istituzioni per tirare il paese fuori dalla crisi.

Nell’illusione che ognuno – Conte, Renzi, Salvini – possa determinare il corso degli eventi più di quanto ormai gli eventi possano condizionare loro, ognuno con le sue divisioni interne – tanto la maggioranza, quanto l’opposizione, chi entra, chi esce dall’Aula – anche il dibattito di oggi disvela una crisi di fondo del sistema politico italiano nel suo insieme, una classe dirigente perduta, che ha smarrito l’orizzonte e la sua funzione nazionale. Il paese è “ostaggio” di un sistema politico in crisi, che vive in una dimensione separata, “sconnessa” sentimentalmente e come rappresentatività effettiva. Una situazione che prefigura come unica alternativa, nell’incapacità di essere alternativi a se stessi, il collasso e, chissà, con esso l’invocazione dell’uomo della Provvidenza da parte di chi oggi si considera tale. Se l’uomo della Provvidenza prima o poi arriverà sul default, saranno i carcerieri di oggi a consegnarsi come ostaggi per mettersi per primi al riparo dal proprio fallimento.

Huffington post

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