Dopo sei mesi di governo Monti, ho pensato di azzardare un bilancio e di vedere quali erano le sue caratteristiche specifiche.
Tutti i governi ne hanno e tutti i premier sono “leggibili” nelle loro specificità.
Di Monti, quello che mi pare più evidente è la “invisibilità”.
Pare di essere nel romanzo di Huxley, se togli il loden non resta niente e così per i ministri.
Tutti pieni di decorazioni e diplomi, come i generali dell’armata rossa, ma anche lì se togli gli addobbi non resta niente. Qualche conclamato provvedimento SalvaItalia, attaccato o staccato non ricordo, ma sicuramente raccogliticcio, scollato, improvvisato, direi.
Ma nel mezzo, tra una cosa e l’altra, il vuoto cosmico. È strano, da un governo tecnico ci sarebbe stato da aspettarsi un progetto globale o almeno un disegno di largo respiro e soprattutto un po’ di coraggio, o almeno di decisionismo, anche perché chi mai avrebbe potuto dire di no ad un ben concertato programma? Non certamente i politici bersagliati da scandali bipartisan e accuse di latrocinio.
Avevano un mare calmo da attraversare, per traghettare su lidi più sicuri questo fragile paese. E invece no. Solo attenzione alle cazzate del mercato, come se una riforma delle pensioni o dell’art.18 potesse portare magicamente posti di lavoro.
Niente di nuovo, invece, sul fronte delle lotte allo spreco e alle camarille. Niente sul cancro dello strozzinaggio e del caporalato (quello selvaggio degli extracomunitari). Niente sulle lungaggini per l’assegnazione dei beni sequestrati alle varie mafie.
Nessun segno neppure dal fronte delle necessarie riforme scolastiche, per dare competenze ai giovani che vogliono lavorare e non importa se come muratori o fisici atomici. Forse anche sedere negli organismi europei o nelle banche italiane o nelle università non è che aiuti a diventare vera classe dirigente.
Forse insegna solo quelle strategie di conservazione del potere che da troppo tempo dominano e distruggono questo Paese. Se questo è quanto di meglio possiamo mettere insieme, converrebbe fare come tanti anni fa, quando si prendevano ancora delle decisioni: per l’acciaieria di Taranto, si assunse un giapponese, che riuscì a fare acciaio, ma non a sopravvivere, appena salvata la baracca, agli intrighi della politica.
Ora è suonata la campana dell’ultimo giro, finiti i machiavellismi, le classi dirigenti incompetenti e inamovibili, il furto come sistema. A forza di saccheggi, non è rimasto molto e allora bisognerebbe cambiare, detto così sembra facile, solo che non abbiamo neppure una ruota di scorta.
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