Che nell’industria privata si venisse assunti per quello che serve , si sa è cosa nota, non contando naturalmente i grandi raccomandati, a quelli un posto lo si trova sempre. Che nello Stato invece contassero i titoli (voto di maturità, laurea, pubblicazioni) era altrettanto noto. Che poi un 110 dell’università X valga un 80 di quella Y è non solo cosa nota, ma non utilizzata, negli Usa cercano di laurearsi ad Harvard, da noi a Reggio Calabria, tanto il merito non serve a nulla.A questo punto l’esimio professore ha chiesto alle università: e se abolissimo il titolo di studio?
Tutti a scrivere della gran rivoluzione, del giacobinismo,di Mario novello Robespierre. Mi chiedo dove fosse Monti negli anni sessanta. In quel periodo per entrare nella sezione tecnica dell’IBM o di qualsiasi altra grande azienda del settore, nessuno ti chiedeva cosa avevi studiato, ma ti facevano fare una serie di selezioni a quiz e se arrivavi in fondo eri assunto. Ma anche negli anni ’50 i periti meccanici, non erano pensati come operai, ma dopo un breve periodo di “rodaggio”, venivano impiegati come capireparto.
Tanto per non sbagliare farò un esempio personale: nel ’76, ero impiegato in una fabbrica di cavi elettrici. Un giorno il direttore tecnico mi chiama, mi dà un pacco di disegni e mi dice che devo montare un impianto per la produzione di cavi in gomma. Io non potevo dire che non ci capivo niente, mi avevano assunto come ingegnere e quindi dovevo farcela. Questo era il lavoro, queste erano le prestazioni che la scuola garantiva al mondo del lavoro.
Oggi? una geremiade sulla difficoltà di trovare un lavoro, ma se gratti sotto le chiacchiere trovi lauree che solo un demente o uno che non cerca occupazione poteva scegliere. C’è un istituto giapponese che cataloga e classifica tutte le università mondiali. La media è 1. Tutte le università italiane stanno tra 1,1 e 1,5, quindi sopra la media mondiale. Peccato che altre università arrivino a 3 e pochissime a 4, in soldoni, prepariamo gente per la media del lavoro intellettuale mondiale e non coltiviamo l’eccellenza, che quindi è costretta ad emigrare e probabilmente a lavorare e produrre ricchezza in altri paesi.
E Monti è rimasto al titolo di studio? Beato lui che va in pensione e che lascia gli studenti (anche i suoi bocconiani) a raccontarsela su quanto sono bravi, ma in braghe di tela nel mondo grande della competizione internazionale.
La prego, professore, si applichi a qualcosa di serio come la scuola. Difficilmente chi non semina raccoglie.
Devi accedere per postare un commento.