Interessi concentrati e fuga dalla responsabilità
In questi giorni la politica italiana si è schierata, con una compattezza sorprendente, a favore di una serie di salvataggi pubblici. In particolare sono all’ordine del giorno aiuti per il Monte dei Paschi di Siena e per Alitalia, entrambi in una situazione molto difficile. Il senso delle due operazioni è abbastanza simile, perché in entrambi i casi si fa ricorso allo Stato (alle risorse sottratte ai contribuenti) per soccorrere attività sostanzialmente private, anche se legate in maniera assai stretta a questa o quella parte politica.
Per quale motivo, però, si va a colpire il cittadino comune per salvare tali aziende?
Nel caso di MPS si usa talvolta l’argomento della «crisi sistemica». Si afferma, in poche parole, che se lo Stato non tenesse in vita questo istituto vi potrebbero essere reazioni a catena. Quello che implicitamente si ammette è che l’intero sistema bancario è in una crisi profonda, ma si continua a negare che l’unico modo per avere imprese creditizie sane consista nel tornare a logiche di responsabilità: eliminando ogni ostacolo che limita l’accesso al mercato (a partire da Bankitalia) e facendo uscire di scena chi non è in grado di servire al meglio i consumatori.
In realtà i molti miliardi che stanno per essere gettati nel salvataggio dell’istituto senese potrebbero proprio accelerare lo sfascio dell’economia italiana, su cui in Germania e non solo lì si va discutendo da tempo. E d’altra parte se c’è un dissesto del sistema nel suo insieme, serve davvero a poco nascondere la polvere sotto il tappeto e premiare un’azienda indifendibile, che ha commesso una fila lunghissima di errori. Per di più, il caso di Alitalia non ha nulla a che fare con crisi sistemiche o di altro tipo. Esso è lì a dimostrare che lo Stato interviene non già per ragioni di giustizia o sulla base di sofismi economici, ma solo perché è incapace di contrastare richieste d’aiuto quando si ha a che fare con gruppi di interesse molto organizzati e influenti.
In una società di mercato i profitti sono legittimi e le imprese (come ha sentenziato la Corte di Cassazione l’altro giorno) hanno anche il diritto di licenziare per realizzare maggiori profitti, e non solo per evitare perdite tali da pregiudicarne la sopravvivenza. Ma se da un lato sono autorizzate a moltiplicare la ricchezza dei loro titolari, al tempo stesso esse devono fare i conti con i propri problemi senza mettere le mani nelle tasche di terzi.
In questo senso, non c’è alcuna vera giustificazione per interventi di politica industriale che colpiscano una parte della popolazione per finanziarne un’altra. Tutti comprendiamo bene, però, come in fondo sia ben più facile togliere alcune centinaia di euro a ogni italiano per salvare qualche impresa decotta che lasciare andare le cose per la loro strada, accettando che alcuni soggetti perdano cifre rilevanti e posizioni di potere. In questo come in altri casi, gli interessi concentrati prevalgono su quelli diffusi, ma ciò significa che chi non ha fatto errori è chiamato a pagare il conto di chi li ha fatti. Il risultato è una crescente e sempre più diffusa deresponsabilizzazione: esattamente l’opposto di cui avremmo bisogno.
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