Mario Draghi, resta in panchina

  • Ha parlato poco, ma sempre a proposito, il professor Mario Draghi, dopo la fine del suo incarico alla BCE. Ha pubblicato un articolo sul Financial Time, all’inizio della crisi Covid, per dire che non si doveva aver paura di fare debito per impedire la recessione, poi è intervenuto al Meeting di Rimini, per spiegare che esiste un debito cattivo, magari per un breve tempo necessario e uno buono che consente al Paese di ripartire ed ai giovani di avere un futuro. Gli stessi giovani che saranno chiamati a pagarlo. Parole chiare, mentre siamo in una situazione dominata dalla confusione nell’azione di governo e dall’assenza di idee che tocca tutti i partiti. Quasi tutta la classe dirigente nazionale, anche quella che per motivi elettorali non può dichiararlo apertamente, riconosce che i sussidi servono a sopravvivere, non a ripartire; che c’è debito buono, finalizzato a investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture e nella ricerca, e debito cattivo e improduttivo, un furto generazionale dei padri sui figli; che il Paese ha bisogno di riforme serie, basate sulla responsabilità, che intacchino le rendite di posizione e i privilegi delle caste. L’adesione all’Europa e l’Euro sono per l’Italia una condizione irrinunciabile; senza di esse saremmo già falliti e gli aiuti saranno condizionati ad una serietà di progetti e comportamenti che né la politica, nè la burocrazia, né la giustizia sono in grado, non solo di realizzare, ma perfino di proporre.

Questo è il dramma della politica italiana, che non riesce a dire ciò che pensa e non riesce a fare ciò che dice.

Siamo vittime del populismo, rivendicato o praticato, poco cambia. Il Movimento Cinquestelle, passato da speranza di cambiamento a sciagura di governo, non può dire che i fondi del Mes hanno meno condizionalità di quelli del Recovery plan e che, quindi, non ha senso rinunciarvi. Il PD, pur di governare non fa nulla per impedire questa deriva. Entrambi criticano i sovranisti, mentre praticano un sovranismo scalcinato e sono condannati alla menzogna, perché dire la verità costerebbe troppo.

Entrambi non possono dire che il Decreto Dignità penalizza il lavoro, né che la contrattazione salariale nazionale agevola il sommerso e mortifica la produttività, perché contraddirebbero la retorica dei diritti senza doveri, che anima la loro propaganda. Una linea di continuità lega il reddito di cittadinanza e “Quota 100” del governo gialloverde allo statalismo e ai sussidi à gogò del governo giallorosso. Non a caso, la decisione di imbarcare senza concorso decine di migliaia di precari della scuola è sostenuta allo stesso modo tanto da Fratelli d’Italia e dalla Lega, quanto dal Pd e dai 5 Stelle.

Perciò le forze politiche condividono a parole, ma tradiscono nelle azioni il riformismo invocato da Mario Draghi, che significa anzitutto educare al realismo e alla responsabilità,

 Solo così si potranno liberare le politiche del welfare dalla ricerca del consenso e costruire un modello nuovo, non al servizio degli interessi più forti.

Sarebbe tragico, se non fosse comico, che dopo averlo incontrato il Premier Conte si sia affrettato a metterlo in naftalina, comunicando che il posto di Premier è suo e che quello di Presidente della Repubblica deve restare a Mattarella. Perché tutto resti come ora immobile. Un potere senza idee e senza cambiamento.

 L’opposto di quello che ha detto Draghi, cioè che bisogna essere capaci di coniugare capitalismo globale e solidarietà. Questa la strada per tenere unito il Paese e le generazioni, coniugando sviluppo, modernizzazione ed equità

Nel frattempo il nostro Messi stia in panchina, mentre in campo si alternano giocatori senza stile e senza senso dello Stato, del resto un allievo di Federico Caffè non può prevalere sugli eredi politici di Achille Lauro.

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