Negli ultimi dieci anni i redditi da pensione sono cresciuti quattro volte tanto quelli da lavoro: un’evidenza clamorosa di uno squilibrio generazione che non possiamo più sopportare. Qualcuno faccia qualcosa, o qui salta tutto
C’è un grafico, pubblicato dal Sole24Ore qualche giorno fa, che dovrebbe essere incollato alla scrivania di chi avrà l’onere di governare questo Paese per i prossimi cinque anni. È un grafico che, a partire dalle dichiarazioni Irpef, mostra quando siano cresciuti dal 2006 al 2016 la ricchezza prodotta dai redditi da lavoro e quella distribuita attraverso gli assegni pensionistici. Tenetevi forte: l’aumento pro capite della ricchezza dei pensionati è stato quattro volte maggiore rispetto a quello di chi lavora. Più precisamente, i redditi da lavoro sono aumentati dell’8,1% in undici anni, quelli da pensione del 31,6%.
Se vogliamo limitarci all’indignazione, possiamo tranquillamente fermarci qui.Forse però sarebbe il caso di andare avanti, perché le cause, per una volta, sono più gravi delle conseguenze. Se la ricchezza pro-capite dei pensionati aumenta e quella dei lavoratori diminuisce vuol dire in quest’ultimo decennio sono andati in pensione i lavoratori con gli stipendi più alti, che chi li sostituisce nel loro ruolo percepisce molto meno e che chi entra ex novo nel mercato del lavoro prende ancora meno soldi.
Entro il 2040 si stima che la spesa per le pensioni salirà, in percentuale del Pil, dal 15,7% al 18,5%, quella per la sanità dal 7,1% al 7,3%, laddove invece la spesa scolastica calerà dal 3,9% al 3,1%
Facciamo un altro passo verso il baratro: se gli stipendi sono bassi, anche i contributi lo saranno. E se i contributi non bastano a pagare le pensioni sempre più alte, vuol dire che gli assegni pensionistici, sempre di più, sempre più ricchi, dovranno essere pagati con la fiscalità generale, ossia con le tasse di tutti. Cosa che a sua volta può voler dire due cose: o che si devono aumentare le imposte, per far fronte alla spesa pensionistica crescente. O che si deve tagliare da qualche altra parte, tra la sanità, l’istruzione, gli investimenti, gli stimoli alla crescita e all’innovazione o il welfare per chi pensionato non è.
Finita qui? Non ancora. Perché questo non è che l’antipasto del problema che ci attenderà presto. Solo un dato, tratto dal rapporto del ministero dell’Economia e Finanze e della Ragioneria di Stato sulle Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario: entro il 2040 si stima che la spesa per le pensioni salirà, in percentuale del Pil, dal 15,7% al 18,5%, quella per la sanità dal 7,1% al 7,3%, laddove invece la spesa scolastica calerà dal 3,9% al 3,1%. Nero su bianco.
Il motivo? Semplice: dal 2020 al 2040 andranno in pensione i cosiddetti baby boomer, ossia i nati tra il 1945 e il 1965, la coorte demografica più numerosa della popolazione italiana, nonché la più ricca e tutelata della Storia di questo Paese. Domanda: chi gliele paga le pensioni, a questi? E chi le cure sanitarie, visto che a quanto si dice camperanno fino a cent’anni? Quanto a lungo potremo sopportare ancora questo clamoroso squilibrio generazionale senza che nessuno si faccia male? Quanto ancora potremo permetterci di rimanere, perlomeno, un ospizio di lusso per pensionati? Quand’è sopratutto che ci decideremo ad affrontare il problema dei problemi di questo Paese?
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