L’indecenza dei rimborsi elettorali ai partiti

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Il caso che ha coinvolto l’ex tesoriere della Margherita, accusato di essersi appropriato, per scopi privati, di 13 milioni di Euro di denaro pubblico, destinati a finanziare il suo partito, ha suscitato nei contribuenti un misto di rabbia e di disgusto. Un’appropriazione indebita di denaro pubblico che, per dichiarazione dello stesso indagato, sarebbe stato destinato all’acquisto di palazzi di lusso e a rimpinguare conti correnti all’estero.Mi auguro che, a tal proposito, la magistratura indaghi a fondo, in quanto dubito del fatto che un reato così clamoroso ed immorale come l’uso improprio di denaro pubblico, si sia potuto verificare all’insaputa degli altri dirigenti politici della Margherita. Nonostante milioni di italiani abbiano detto no al finanziamento pubblico dei partiti in occasione di una consultazione referendaria, i parlamentari hanno fatto finta di niente e subito dopo hanno approvato l’attuale legge, che ha semplicemente cambiato nome alla precedente abrogata, introducendo la formula dei rimborsi elettorali dei partiti: insomma, se non è zuppa è pan bagnato.

In occasione del referendum abrogativo dell’aprile 1993, infatti, il 90,3% dei votanti si espresse a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che fece seguito allo scandalo di Tangentopoli. Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993, la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. La legge n. 2 del 2 gennaio 1997, intitolata “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici” reintroduce, di fatto, il finanziamento pubblico ai partiti. Il provvedimento prevede la possibilità per i contribuenti, al momento della dichiarazione dei redditi, di destinare il 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (pur senza poter indicare a quale partito), per un totale massimo di 56.810.000 euro, da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. L’adesione alla contribuzione volontaria, destinata ad attribuire il 4 per mille dell’imposta sul reddito ai partiti, risultò però minima.

Ecco dunque uscire dal cilindro la legge n. 157 del 3 giugno 1999, Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici che reintroduce un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La normativa viene modificata dalla legge n. 156 del 26 luglio 2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. Infine, con la legge n. 51 del 23 febbraio 2006, l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è stato esponenziale, giungendo nel 2008 all’iperbolica cifra di 501.620.740 Euro.

L’attuale legge sui dei rimborsi elettorali non prevede, per i partiti politici, bilanci certificati obbligatori e neppure alcuna rendicontazione delle spese sostenute durante le campagne elettorali; oltre a ciò gli stessi partititi non sono obbligati ad utilizzare i contributi pubblici ricevuti esclusivamente per ragioni elettorali.

Una legge, quella dei rimborsi elettorali, che consente a partiti politicamente defunti di continuare a ricevere contributi pubblici e di finanziare partiti che non sono riusciti a fare eleggere neppure un proprio rappresentante in Parlamento: questi ultimi ricevono finanziamenti pubblici per il solo fatto di avere ottenuto l’1 per cento dei suffragi. Di conseguenza molto di quel denaro sottratto alle tasche dei cittadini è stato utilizzato per mantenere apparati di partito e di militanti di professione, eludendo quindi le finalità della legge stessa.

E’ urgente cambiare, prima che i cittadini vengano con i forconi a fare giustizia di una situazione indecorosa. Negli Stati Uniti, patria della democrazia moderna, non è previsto alcun finanziamento pubblico dei partiti, mentre le campagne elettorali sono sostenute dai candidati attraverso risorse proprie o attraverso finanziamenti privati, raccolti attraverso l’attività di fundraising. Poniamo fine dunque, una volta per tutte, a questa situazione indecente, o i partiti perderanno ogni credibilità nei confronti dei cittadini.

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