Di Ashoka Mody,
L’Europa sta chiaramente perdendo la sua strada. La sfiducia e le divisioni sono aumentate in modo allarmante, aggravate dalla conflittuale scelta di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione e in previsione di un dibattito controverso sul bilancio dell’UE. Oggi è ben difficile identificare un obiettivo strategico su cui i leader europei siano uniti per migliorare la vita dei cittadini europei.
Ursula von der Leyen è stata una scelta poco condivisa per la successione a Jean-Claude Juncker come presidente della Commissione europea. Emersa dopo trattative ferocemente conflittuali come compromesso dell’ultimo minuto, è incappata immediatamente in una tempesta di critiche. Perfino i membri del suo stesso partito, l’Unione Democratica Cristiana (CDU), l’hanno presa di mira. Nel ruolo ingrato di ministro della Difesa tedesco, non è stata in grado di superare gli ostacoli posti dal pacifismo tedesco del dopoguerra e dall’insensata austerità nella spesa pubblica, tanto che un ex ministro della Difesa le ha addossato la colpa dello stato “catastrofico” dell’esercito tedesco. Un membro del Bundestag ha dichiarato sarcasticamente: “È utile per l’esercito… che se ne vada.” Il ministero della Von der Leyen è stato colpito da accuse di clientelismo e scorrettezze nell’assegnazione di contratti di consulenza. La cancelliera Angela Merkel, benché già suo premier, decise addirittura di non votarla per la Presidenza della Commissione, pur di non scontentare gli alleati di coalizione socialdemocratici della SDP, furenti per la bocciatura del loro candidato.
La Von der Leyen ha ricevuto il voto di conferma del parlamento europeo con un margine strettissimo. Dopo il voto segreto, i parlamentari più europeisti di tutti, i Verdi, hanno comunicato di avere votato contro di lei. Per superare l’ultimo ostacolo, ha quindi avuto bisogno dei voti dei partiti di governo xenofobi e scettici in Polonia e, soprattutto, in Ungheria.
L’aspro e opportunistico mercato delle vacche scatenato in occasione della nomina della Von der Leyen è stata la dimostrazione su scala ridotta del profondo malessere europeo: l’incapacità di agire con una voce comune nell’interesse comune. Von der Leyen è un prodotto di questo sistema. È abile nella retorica e nelle tattiche di combattimento da guerra intestina. Ma per riuscire, ora, deve miracolosamente trovare un terreno comune, se vuole agire meglio di quanto non abbia fatto al ministero della Difesa tedesco.
Un aspro dibattito sta imperversando sulla dimensione e sulla destinazione del prossimo bilancio dell’UE. E con gli Stati membri che mettono al primo posto i loro interessi nazionali, l’agenda strategica dell’UE è nel caos.
Il budget europeo: scorrerà il sangue
La Von der Leyen ha lanciato un “Nuovo corso verde europeo” (New Green Deal) da trilioni di euro, da pagare con i fondi del prossimo ciclo di bilancio dell’UE, che andrà dal 2021 al 2027. “Scorrerà il sangue”, ha pronosticato oscuramente un alto funzionario dell’UE, dopo che la Von der Leyen aveva lasciato il ricevimento per festeggiare l’anno nuovo della Commissione europea. Il precedente bilancio dell’UE, che va dal 2014 al 2020, ha registrato un trilione di euro, circa l’uno per cento del PIL dell’UE nello stesso periodo. Il prossimo bilancio inizia con un buco di 94 miliardi di euro dovuto all’uscita della Gran Bretagna dall’UE. Eppure i “contribuenti netti” – gli stati del Nord (ma lo è anche l’Italia – NdVdE) – hanno escluso di aprire ulteriormente i loro portafogli; i “destinatari netti” – gli Stati membri meridionali (esclusa l’Italia, che in assoluto versa più contributi di quanti ne riceva – NdVdE) e orientali – stanno lottando per mantenere i loro benefici fiscali. I coltelli sono già stati sfoderati, mentre lo sforzo porterà ad aumentare il bilancio comune, nella migliore delle ipotesi, di un misero decimo dell’uno per cento del PIL.
L’UE spende il suo fossilizzato bilancio con molti sprechi, anche notevoli. Oltre il 40% delle spese è destinato a sussidi agricoli. In una denuncia scioccante, il New York Times ha riferito che i sussidi agricoli “sostengono oligarchi, mafiosi e populisti di estrema destra”. La corruzione parte dal vertice: “I leader nazionali usano i sussidi per arricchire amici, alleati politici e familiari”, riporta il documento. Il parlamento europeo è complice. Ha respinto sommariamente l’ultimo tentativo di cancellare alcune delle elargizioni previste. In poche parole, troppi mediatori influenti hanno le loro mani privilegiate nella cassa. Il New York Times ha anche rivelato una preoccupante sovrapposizione geografica tra il versamento dei sussidi e l’inquinamento ambientale, una sovrapposizione di cui i funzionari dell’UE sembrano essere consapevoli.
I “Fondi strutturali e di coesione”, costituiscono un altro terzo del bilancio. Questi fondi hanno contribuito a risollevare le regioni più arretrate dell’UE. Ma, come riconosce la stessa Commissione europea, questi fondi sono stati a lungo associati alla corruzione attraverso, ad esempio, tangenti e falsificazione di documenti. D’altra parte, sembra che nessuno voglia disturbare questo pacifico status quo. I cosiddetti “amici della coesione” tra i “contribuenti netti” condizionano la continuazione dei contributi al fatto che le loro imprese nazionali traggano vantaggio dai contratti che nascono grazie ai fondi di coesione nell’Europa orientale. Altrimenti, avvertono cupamente, i piani per il bilancio dell’UE sono “destinati a fallire”.
Quindi tre quarti del bilancio sono intoccabili. In questo caos, Von der Leyen vuole un quarto del budget per dare il via a un trilione di euro di spesa verde. Inoltre vuole più soldi per l’immigrazione e la gestione delle frontiere, la sicurezza e la difesa e un programma per una “Europa digitale”.
Per quanto riguarda la protezione ambientale, l’UE sta cercando di stabilire standard molto sfidanti di riduzione delle emissioni, soprattutto perché gli americani stanno arretrando. Ma gli ambiziosi progetti non coincidono con la scoraggiante realtà. Gregory Claeys e Simone Tagliapietra, del Bruegel (un think tank con sede a Bruxelles), prevedono che le autorità europee, in assenza di maggiori fondi, etichetteranno come “verde” la spesa già esistente. In una discussione su Twitter, Claeys ha concluso tristemente: “L’UE è davvero
campione del mondo nel rimescolare I (piccoli) fondi che girano per fingere di avere delle politiche. E questo è un problema, perché porta a grandi aspettative ma a scarsi risultati.”
La fantasia” geopolitica”
La Von der Leyen ha promesso di guidare una Commissione europea “geopolitica”. I leader europei adorano coniare nuove espressioni, alzando continuamente la posta: da una “Unione sempre più vicina” a una “Unione politica”, fino alla “sovranità europea”, l’espressione preferita da Emmanuel Macron. Ora è la volta dell’Europa come forza “geopolitica”. La baldanza del “Progetto europeo” è confortante perché la sostanza è esasperante.
Nella sua crociata geopolitica, Von der Leyen tiene d’occhio la Cina. “Dobbiamo definire e far rispettare i nostri interessi nei rapporti con la Cina insieme, come europei”, ha dichiarato in un’intervista a Die Zeit. “La Cina ci intrappola subdolamente”, ha dichiarato. “Ed è per questo che spesso non ci rendiamo conto della coerenza con cui persegue i suoi obiettivi e con quanta intelligenza.” Ha messo in guardia soprattutto contro il coinvolgimento nel progetto cinese Belt and Road Initiative (BRI), un programma di infrastrutture transcontinentali, noto per avere incastrato i paesi che l’hanno accolto in debiti insostenibili nei confronti dei cinesi.
Da voci dall’estero
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