Le surreali voci su imposte patrimoniali e affini

pressione-fiscaleSono passati poco più di sei mesi da una delle più grandi mazzate fiscali di tutti i tempi. In questi sei mesi, al netto di qualche liberalizzazione e semplificazione di facciata, si è visto poco o nulla. Solo di recente, sotto l’incalzare dello spread, il Governo ha abbozzato alcuni tagli di spesa che, per quanto tardivie insufficienti, fanno sperare si stia finalmente rassegnando a imboccare l’unica via che avrebbe sin dal principio dovuto intraprendere. Ebbene: nemmeno il tempo di vederli messi concretamente in atto che già le parti sociali e alcuni partiti politici rilanciano l’opportunità di tassare i patrimoni.

A patto che non colpisca le imprese, si dichiara a favore di questa ipotesi pure il Presidente di Confindustria. Il dibattito, in realtà, è surreale. Non è questione di essere contrari per principio alle imposte di tipo patrimoniale. Anzi, è vero semmai che, in momenti di così grave crisi economica, è di gran lunga preferibile tassare le cose possedute (ossia i patrimoni), piuttosto che le cose consumate (ossia i consumi) oppure i redditi di lavoro e produzione. Il punto è che la tassazione patrimoniale in Italia c’è già e, da un anno a questa parte, non è più robetta da quattro soldi. Si chiama IMU per gli immobili posseduti in Italia e IVIE per quelli posseduti all’estero.

Si chiama imposta di bollo sui conti di deposito per le attività finanziarie possedute in Italia e IVAFE per quelle possedute all’estero. Si chiama superbollo sulle auto di lusso e tassa annuale sulle barche. Per “copiare” l’imposta patrimoniale francese (ISF) mancano i cavalli da corsa, i gioielli, l’oro e i metalli preziosi, ma il resto c’è praticamente tutto. Per il Governo, la soluzione della “patrimoniale spezzatino” è stata una strada in parte obbligata e in parte gradita: bisognava fare in fretta e bisognava fare meno rumore possibile. Parlare oggi di patrimoniali non significa dunque parlare di qualcosa che non c’è e che andrebbe introdotto, ma parlare di qualcosa che c’è e che, evidentemente, si vorrebbe incrementare ancora di più. Per fare cosa, però? Alla luce di quanto è successo sino ad ora, soltanto la pazzia o la malafede possono indurre a credere ancora che la leva della tassazione patrimoniale sarebbe utilizzata per ridurre le tasse sul lavoro e sui consumi, essendo invece ormai chiaro che il prelievo verrebbe semplicemente stratificato a quello esistente, già elevatissimo, per ridurre il meno possibile la spesa pubblica. Questo è invece ciò che oggi va fatto, senza se e senza ma: la riduzione della spesa.

Soltanto dopo, non prima, si potranno mettere in campo ulteriori misure finalizzate ad accentuare ancora di più la riduzione del prelievo fiscale su redditi e consumi, utilizzando a tale fine, e a tale fine soltanto, anche l’ulteriore leva del recupero di gettito mediante la lotta all’evasione fiscale. Non c’è nessun gratuito compiacimento nell’affermare che non esistono alternative reali alla riduzione del peso dello Stato, alla significativa potatura dei livelli di rappresentanza e del numero dei rappresentanti, alla restrizione del perimetro della Pubblica Amministrazione e del parastato, all’abbandono di livelli remunerativi dei dirigenti pubblici simili a quelli dei quadri dirigenti del settore privato, al taglio di sprechi anche a costo di perdere per strada qualche pezzettino di spesa sociale.

Proprio nessun compiacimento. Sarebbe bello, anzi, non essere la generazione chiamata a cambiare passo e poter continuare a godere di diritti che poi pagheranno altri, quando i nostri saranno invece ormai acquisiti e chi se ne importa. Giusto o sbagliato, però, non è così. È arrivata l’ora che chi intende occuparsi della vita pubblica del Paese, nell’agone politico o nelle cosiddette parti sociali, se ne faccia una ragione e abbia il coraggio di dare un contributo che non sia più la penosa declinazione dei tanti “ma anche” che in questi anni si sono poi sempre tradotti in altrettanti “nulla di fatto”. Vogliamo più spesa a costo di avere più tasse, oppure meno tasse a costo di avere meno spesa? Su questo, forze politiche e parti sociali sono chiamate a dividersi e, preferibilmente, pure in modo netto; altro che ad unirsi in coalizioni eterogenee e in tavoli di concertazione. Chi su questo tema, scomodo ma inevitabile, prova ancora oggi a cercare di conciliare l’inconciliabile, sta solo cercando di perpetrare equilibri di potere che, nelle istituzioni e nella società civile, ci hanno portato al punto cui siamo arrivati. Più spesa a costo di avere più tasse, oppure meno tasse a costo di avere meno spesa? O di qua o di là, signori.

Tratto da Eutekne

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.