Premesso che Renzi ha segnato un punto di discontinuità nella politica italiana, cosa che peraltro avvenne anche con il primo Berlusconi, la domanda da porsi è se a quel primo segno è seguita una vera discontinuità. La risposta è no. Certo, riforme e aggiustamenti, anche se sovente incompleti, timidi o mal fatti, non sono mancati: il jobs act è forse il segno più forte, ma a farlo andare sono gli sgravi contributivi indiscriminati, che hanno perlopiù premiato sostituzioni o stabilizzazioni, anziché nuovi posti di lavoro, oltre a prestarsi a furbizie e abusi, per un danno di 600 milioni di euro. Manca tutta la parte di riforma dei centri per l’impiego e degli ammortizzatori sociali, oltre all’estensione del jobs act ai dipendenti pubblici. Abbiamo poi una riforma costituzionale che non abolisce il Senato, anzi lo consegna alle regioni, centri del malaffare politico di questi anni, riforma che, unita alla legge elettorale, riduce gli spazi di democrazia, molto più di quella di Berlusconi che la sinistra bocciò nel referendum del 2006. Lo stesso risultato si poteva ottenere con una radicale riforma dei regolamenti parlamentari e con un’ estensione della possibilità di legiferare alle commissioni. Ora siamo chiamati ad un referendum per consegnarci all’uomo della Provvidenza, non solo fino a che resterà Renzi, ma anche per il futuro e si sa che la Provvidenza a volte si distrae. Però le vere spine di Renzi sono due: la corruzione e l’economia. Per quanto riguarda la prima, lo stesso premier riconosce che nel Pd c’è una questione morale, il potere logorerà chi non lo ha, ma la corruzione alligna in chi lo ha e il Pd oggi ha tutto il potere, con esso il suo fardello di corrotti e alleati scomodi, come Verdini o al sud i voti dei mafiosi. Per la seconda, la tanto sbandierata ripresa si va trasformando in una ripresa per i fondelli. Qualche dato aiuta a capire: a marzo la produzione industriale si è fermata a zero, l’andamento tendenziale resta positivo, ma con percentuali impercettibili e, come dice il Premier, con lo zero virgola non si va da nessuna parte. Bisogna dire che questo è il ritmo delle economie mature e che siamo davanti a un declino strutturale, con il Pil fermo e la spesa corrente in crescita, con aumento del debito, il che porterà, in assenza di amari tagli, ad una robusta patrimoniale .Il tutto mentre in Europa e soprattutto da noi, si profila sempre di più un rischio sistemico per le banche, che. gravate da sofferenze e titoli di Stato a basso rendimento, non potendo aumentare il capitale, dovranno tagliare prestiti e lavoratori, riducendo ancora di più la base produttiva e portando l’occupazione pubblica a percentuali più alte, in Bielorussia è all’80%. Per questo, da inizio anno Piazza Affari ha perso il 20%, contro l’8% di Francia e Germania e il 10% della Spagna. La crisi bancaria rischia di tirarsi dietro quella industriale, infatti chi può restituire i prestiti, non li chiede o, visti i tassi, emette bond e chi li chiede, vista la frenata dei consumi, non può restituirli. Se non si risolve la crisi delle banche, non si tranquillizzano risparmiatori e consumatori, quindi addio ripresa, pompare denaro non serve a nulla se il cavallo non beve. Le crisi bancarie si sono fumate almeno venti miliardi di risparmio tra azioni e obbligazioni subordinate, in particolare in Veneto (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) e in Toscana(MPS ed Etruria), una grande manovra finanziaria. Poi ci sono le perdite di valore delle banche “sane” che si sono fumate valori stratosferici e che devono salvare il sistema, quando non ne hanno abbastanza per salvare se stesse. Il dramma è che il governo può fare poco, non può mettere denaro e il Fondo Atlante è insufficiente già ora, figuriamoci più avanti. Bisognerà ricorrere al bail-in, impoverendo ancora il Paese. Come se non bastasse, la crisi delle banche coinvolge anche le assicurazioni e i fondi, nonché i fondi pensione, come investitori. Il che vuol dire non solo che saranno basse le pensioni Inps, ma anche quelle integrative, problema non piccolo in un Paese che invecchia e da cui i giovani scappano. Renzi dice che quelli che se ne vanno non sono tutti premi Nobel, ma di certo sono i più intraprendenti. Nel mentre aumentano le sacche di privilegio, la borghesia delle imprese e delle professioni è sostituita da quella pubblica, che non solo produce poco, alimenta la corruzione, in accordo con la politica, sperpera il denaro pubblico, ma percepisce stipendi più alti di quelli che lavorano nel privato, a volte scandalosamente più alti. Il Paese delle caste è oggi il miglior sostegno del governo, ma se uccidi la mucca, finirà anche il latte. Puoi dare e promettere tutti i diritti che vuoi, ma se non c’è chi li paga, stai solo vendendo illusioni.
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