Le minacce non fermano la ripresa

Più poté la ripresa che Berlusconi.

Almeno fino ad oggi. Le minacce politiche catastrofali- il blocco del Parlamento, la guerra civile – non hanno scosso i mercati. Perché minacce poco credibili, tanto più che Berlusconi stesso dice di non volere la crisi governativa.

Ma anche e soprattutto perché è stato ribadito a livello di Governo e di Banca d’Italia l’annuncio del punto di svolta dell’economia.

Se davvero ci sarà crescita, tutto il resto passerà in seconda fila. Alla faccia di chi ci vuol male, in particolare dell’ agenzia di rating Standard & Poor che da poco settimane ha abbassato il giudizio sull’affidabilità dell’Italia sul fronte del debito pubblico.

Sia chiaro che siamo ancora in alto mare. L’Istat ha appena comunicato che il Pil è stato in discesa anche nel secondo trimestre del 2013, sia pure di un esile 0,2% sul trimestre precedente. Da inizio d’anno, la riduzione è dell’1,7% e completa un biennio di diminuzione continua, un triste primato che non avuto precedenti neanche nel periodo acuto della crisi del 2008 e che ha contribuito a portarci ad un livello di reddito pro capite attorno a quello del 1995. Nei libri di storia si parlerà di un ventennio perduto, e soprattutto di una generazione sacrificata, perché caduta del reddito significa disoccupazione che cresce,specialmente tra i giovani..

Ma per i mercati conta il futuro, non il passato e nemmeno il presente. E il futuro contempla il rimbalzo: da giugno è cresciuta, anche se di poco, la produzione industriale in diverse regioni italiane, dove è elevata la quota delle esportazioni; a livello nazionale si registrano segnali positivi per la capacità di acquisto e la propensione al risparmio e soprattutto per il flusso degli scambi interni, come palesa l’Iva che è risultata aumentata a giugno del 4,5% su base annua. Fa da collante al tutto l’indice Pmi sulla fiducia delle imprese , che ha avuti un aumento dell’1,8% tra maggio e giugno; ed è un indice importante, perché in economia le attese generano i comportamenti che poi determinano i fatti.

Attenzione, tuttavia, ad non abbassare la guardia. La stabilità dei mercati significa fiducia nell’evoluzione dei fatti da cui dipende la crescita della nostra economia; ma fiducia non è mai certezza. Ripassiamoli questi eventi attesi. Il primo contempla il continuo sviluppo degli altri continenti, destinatari di una quota ancora minoritaria ma importante e crescente del nostro export. È considerato scontato, anche se si discute su qualche punto percentuale in più o in meno. Viene poi l’evoluzione dei 28 paesi della UE, i nostri partner principali negli scambi internazionali, che si prospetta complessivamente più debole ma pur sempre positiva. Il terzo evento concerne la politica monetaria della Banca centrale europea, che determina la liquidità dei 17 paesi dell’eurozona. Draghi ha sin qui fatto autentici miracoli nella politica di sostegno alle banche e indirettamente agli Stati più indebitati, ma grazie anche alla Merkel che l’ha difeso contro lo stesso rappresentante della Bundesbank.

La fiducia dei mercati riposa quindi sulla prospettiva di rielezione della Merkel a settembre. Evento probabile ma non sicuro, così come non è sicuro che nelle ultime settimane di campagna elettorale la Merkel non si lasci scappare impegni di restrizioni ai paesi indebitati dell’eurozona, come chiede una parte consistente dei suoi elettori. Ultimo, ma non meno importante, l’evoluzione politica italiana; e questo è evento ancora molto incerto Anche se al momento l’economia prevale sulla politica, non sottovalutiamo la nostra capacità di farci del male con l’instabilità governativa o con una politica economica populista e alla fine quindi autolesionista di fronte ai mercati. Ecco perché va bene la felicità liberatoria per la ripresa annunciata, ma senza abbassare la guardia.

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