Le elezioni hanno conseguenze, ve la meritate Amy Coney Barrett

Di Cristian Rocca

La giudice Amy Coney Barrett influenzerà la giurisprudenza, la politica e la società americana per i prossimi decenni, ma la sua nomina alla Corte suprema degli Stati Uniti non è imputabile soltanto a Donald Trump, il quale ha fatto soltanto il suo mestiere di scegliere una giurista ultraconservatrice, peraltro in questo caso anche brava, qualificata e di buone maniere.

La nomina a vita di Amy Coney Barrett va messa in carico anche alla citrullaggine di quella parte della sinistra e del mondo intellettuale liberal che quattro anni fa storceva il naso di fronte alla candidatura di Hillary Clinton, che spiegava che non c’era nessuna differenza tra i due sfidanti (e in alcuni casi si fidava più di Donald che di Hillary) e che diffondeva analfabetismi chic sul neoliberismo dei democratici. In Europa, lo stesso principio ha portato alla cancellazione delle esperienza di governo riformiste e alla catastrofe di Jeremy Corbin e di Giuseppe Conte.

Le elezioni hanno conseguenze e la conseguenza di aver punito il riformista ideologicamente più vicino per segnare un punto di principio, in nome di un massimalismo grottesco, in America è sintetizzabile in tre parole: Amy Coney Barrett. Gli odiati Clinton, per dire, alla Corte Suprema hanno nominato Ruth Bader Ginsburg, adesso idolatrata dalla stessa sinistra radicale che quattro anni fa sdegnava Hillary considerandola di destra.

È surreale lamentarsi adesso, dopo aver contribuito a eleggere Trump non andando a votare, preferendo la candidatura alternativa di Jill Stein (la prima scelta di Vladimir Putin per sabotare Hillary), spiegando che Donald era la colomba e Hillary il pericoloso falco o diffondendo scetticismo sull’affidabilità del clan Clinton. 

I repubblicani di Trump sono degli imbroglioni patentati, in un mondo in cui dire bugie è diventato un pregio, a pretendere di nominare un giudice a vita a un mese dalle elezioni dopo che lo hanno impedito a Obama cui sarebbe spettato scegliere un giudice dieci mesi prima del voto, ma al netto della cortesia costituzionale, che non è esattamente il suo forte, Trump ha tutto il diritto di scegliere il giudice ora che si è reso vacante un dei nove posti.

Nessuno sa come si comporterà Amy Coney Barrett una volta confermata alla Corte Suprema, sappiamo soltanto che Amy Coney Barrett è una originalista, come il suo mentore Anthony Scalia, cioè che la sua filosofica giuridica si basa sul rispetto letterale del testo della Costituzione per come è scritto, piuttosto che interpretarlo, da vera conservatrice. 

Scalia è stato un gigante del diritto, ma anche una personalità corrosiva incapace di fare squadra dentro la Corte, tanto da costringere spesso la nominata da Ronald Reagan Sandra Day O’Connor a schierarsi con i colleghi liberal. Amy Coney Barrett però non è della stessa pasta di Scalia, i suoi modi affabili potrebbero costruire alleanze anziché dividere i giudici.

La storia della Corte, comunque, è piena di Justice che una volta entrati nella Corte finiscono per giudicare in modo diverso rispetto allo schieramento ideologico di partenza. Vedremo se i sei giudici conservatori rispetto ai tre liberal cambieranno il corso dell’America sui finanziamenti alla politica, sulle politiche ambientali, sui diritti dei lavoratori e sull’aborto, ma invece di fasciarsi la testa sull’arroganza trumpiana sarebbe più opportuno raddoppiare gli sforzi per eleggere Joe Biden il 3 novembre, smettendola di rumoreggiare sull’imperfetta aderenza ideologica del candidato democratico alle ultime stronzate di moda a Brooklyn o alla sua parodia romana del Pigneto. 

È vero che Biden non scalda i cuori, che è anziano, che è moderato e che appare come un simpatico trombone vecchio stampo, «blowhard», dicono gli americani. Ma Biden con tutti i suoi problemi è uno dei pochi leader «normali» del mondo occidentale. E in questi tempi impazziti è proprio la normalità democratica, istituzionale e civile la cosa che manca di più di qua e di là dell’Atlantico, ma soprattutto nell’America del primo presidente antiamericano. 

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