Le disparità sociali accentuano le crisi a prescindere dal Pil

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Non si può negare che il Governo Monti stia rivoltando l’Italia come un calzino e che da tutte le decisioni legislative che si stanno prendendo deriveranno grandi mutamenti di scenari negli assetti sociali, nei rapporti tra le classi, nella vita quotidiana pratica e interiore delle persone, probabilmente di quasi ognuno di noi.Ci sembra utile in questa fase di profondi cambiamenti suggerire qualche riflessione a proposito di cosa significhi davvero la qualità della vita, come questa si leghi o meno al Pil, alla ricchezza procapite, nelle società più o meno ricche e caratterizzate da disuguaglianze sociali, Per farlo vi diremo qualcosa di quanto afferma al proposito Richard Wilkinson, saggista inglese esperto di disuguaglianze sociali e implicazioni sulla salute, sulla qualità dell’esistenza.

L’intuizione che la disparità crei divisione e sia socialmente corrosiva esisteva già prima della Rivoluzione francese, ciò che è cambiato è che oggi possiamo constatare la veridicità di questo assunto. Oggi possiamo per esempio verificare che paesi con un rapporto di ricchezza doppio l’uno dell’altro possono avere una stessa aspettativa nella lunghezza della vita media. Mentre all’interno dello stesso Paese, la longevità è invece proporzionale alla ricchezza. Sembra un paradosso. Il fatto è che all’interno delle nostre società guardiamo al reddito relativo, alla posizione sociale e subiamo le differenze di status che ci sono fra noi e coloro con cui ci relazioniamo e parametrizziamo.

Analizziamo le differenze di reddito nelle democrazie ricche e con mercati sviluppati. Nei paesi più equi come Giappone, Finlandia, Norvegia, Svezia, il 20% della popolazione più agiata è da 3,5 a 4 volte più ricco del 20% più povero. Nei Paesi più ineguali socialmente come Regno Unito, Portogallo, Usa e Singapore queste differenze sono due volte superiori.

Analizzando i dati sulle aspettative di vita, andamento scolastico, mortalità infantile, omicidi, numero di detenuti, natalità tra coppie di adolescenti, grado di fiducia, obesità, malattie mentali, comprese droga e alcool, mobilità sociale, ci si accorge che nei Paesi con maggiori differenze di stato sociale tutti questi indicatori sono peggiori secondo una correlazione incredibilmente stretta. Al contrario, se gli stessi indicatori vengono messi in relazione alla ricchezza e al Pil, non si riscontra alcuna connessione tra i valori analizzati.

Anche l’indice di benessere dei bambini, che comprende una quarantina di parametri come quanto i bimbi hanno un dialogo coi genitori, se hanno libri in casa, accesso alle vaccinazioni, bullismo, tale scala conferma questa valutazione: dove c’è più ineguaglianza sociale, a prescindere dalla ricchezza media del Paese, i bambini stanno peggio. Il reddito procapite, cioè, non influenza tutti questi aspetti della qualità dell’esistenza. Insomma, nelle società ricche e sviluppate il benessere della società non dipende dalla ricchezza o dalla crescita, come accade in quelle più povere. Contano invece le differenze fra le persone. Addirittura il grado di fiducia nel prossimo risente di queste dinamiche sociali. Troviamo differenze dal 15% delle società con maggiori sperequazioni al 60-65% di quelle più eque.L’Organizzazione mondiale della Sanità ha simili risultati studiando l’incidenza delle malattie mentali, che triplica nelle nazioni con maggiori disparità sociali. Scoviamo intere società con il triplo di malattie mentali rispetto ad altre. Simili risultati troviamo studiando anche la criminalità, così come nelle società con maggiori disparità tende pure a rimanere l’adozione della pena di morte. Conferme vengono misurando l’abbandono scolastico o la mobilità sociale: avere padri ricchi è più importante nelle società meno eque. Wilkinson ammonisce chiaramente i propri cugini anglosassoni: “Se i giovani americani vogliono vivere il “sogno americano” devono andare in Danimarca!”.

Queste disparità hanno un costo sociale e umano impressionante perché comportano ricadute su aspetti innumerevoli della vita di ognuno di noi. Ma come arrivano Svezia o Giappone ad avere le situazioni migliori del mondo a proposito di questi temi? Sono realtà molto diverse. Ebbene in Svezia le differenze di reddito sono elevate, ma vengono compensate con la tassazione, l’assistenza sociale generazionale, ampi benefici e così via; il Giappone ha differenze di reddito molto inferiori, quindi meno tasse, uno stato sociale più limitato. Ciò significa che le strade possono essere molto diverse, ma l’obiettivo lo stesso. E a conferma di quanto dice il poeta John Done, “nessun uomo è un’isola”, ci accorgiamo che queste conseguenze colpiscono in parte con la loro negatività anche le classi sociali più abbienti. Cioè nei paesi più ricchi ma socialmente ingiusti qualche conseguenza la pagano anche le classi più elevate.

Sotto l’aspetto psicosociale esistono più di 200 studi diversi che hanno indagato le persone analizzando la presenza di ormoni dello stress e le reazioni nello svolgere compiti più impegnativi. C’è una relazione tra il tasso di cortisolo (l’ormone suddetto) e l’esposizione a incombenze che implicano lo status sociale, l’autosima e da tutto ciò che abbiamo esposto è facile accorgersi di come le ricadute vadano a coinvolgere infine il sistema immunitario degli individui, la salute cardiovascolare, ecc.Pochi chiari suggerimenti da Wilkinson per affrontare questi problemi: occuparsi di pre-tassazione e post-tassazione, limitare le entrate, gli eccessi di bonus per i grandi manager e i dirigenti, rendere i capi responsabili dei propri dipendenti. Ridurre le differenze di reddito aumenterà la qualità della vita delle società complessivamente intesa.

Ci pare che queste riflessioni siano da tenere imprescindibilmente in conto in scenari di crisi come quella che attraversiamo attualmente. Quello dell’equità è oggi un criterio che nessun governo europeo e dell’Occidente in crisi può permettersi di trascurare. Parole al vento? Ci auguriamo di no.

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