La sfida di Draghi

Con buona pace del Conte zio, delle reprimende del Fatto Quotidiano, degli anatemi della Magistratura, delle contorsioni sui vaccini di Salvini, Draghi ha deciso di tirare diritto e speriamo non si arrenda ai sostenitori dello status quo. Del resto è stato chiamato per questo, dopo il fallimento di tutti i partiti, per salvare l’ Italia dal fallimento, tutto il resto è noia. L’indecisionismo sulle riforme, la ricerca di un consenso fine a se stesso stavano portando il Paese nel baratro. Non sono le riforme per quanto perfettibili ad uccidere la democrazia, ma le non decisioni. C’è del metodo nell’agire del premier, c’è molta capacità politica, a differenza del Conte zio cerca un accordo con tutta la sua eterogenea maggioranza, poi decide e va diritto. Prima si discuteva, si prendevano decisioni salvo intese e poi si ridiscuteva tutto.

Il driver è che a un certo punto si decide, la mediazione è indispensabile, necessaria nella misura in cui è uno strumento per arrivare all’obiettivo, non una prassi che si autoalimenta producendo immobilismo. Certo si decide sulla base di ciò che sembra giusto in quel dato momento, il green pass serve per coniugare Pil e salute, senza vanificare gli sforzi fatti, la riforma della giustizia seve per ottenere i fondi del Recovery, ma soprattutto serve agli italiani. I cittadini non debbono pagare per l’incapacità dello Stato di dare risposte certe in tempi rapidi. Quello che il Premier e il governo stanno portando avanti è un vasto piano di riforme, che tocca la vita di tutti noi e sbagliano Salvini e la Meloni a non capire che la modernizzazione dello Stato è un faro per una destra liberale e moderna. Sbagliano anche perché il primo, stando nel governo avrebbe più interesse ad intestarsi i successi del cambiamento, invece di attardarsi in inutili battaglie di bandiera, dato che poi deve votare tutto. La seconda urla con più coerenza, ma poi nel voto è e sarà spesso costretta ad astenersi, perché certe riforme, pur se insufficienti, sono indispensabili. Per quanto riguarda i 5 Stelle, è inutile fare discorsi politici, agiscono in preda alla confusione, che genera caos, mentre il Pd, più astutamente parla di altro: diritti della zona delle mutande, voto ai sedicenni ecc. Essendo uomini di potere sanno che il fallimento di Draghi trasformerebbe l’Italia da Paese a sovranità limitata, in Paese privo di ogni sovranità.

Mai si era visto un Premier parlare così chiaro, sulla giustizia, non tanto a Conte, ma ai veri oppositori della riforma, la cui voce, con i governi di qualunque colore, si è trasformata in un veto, in questi anni: Anm, Antimafia, Csm. Da cui si sentono molti richiami a valori alti, ma nessuno che dica che oggi i due terzi dei procedimenti si prescrivono nella fase delle indagini e non nei tre gradi, che il blocco della prescrizione scatta dopo il primo grado, in cui muore un altro tot di procedimenti e che per questo malfunzionamento pagano solo i cittadini, in particolare gli innocenti e le vittime. L’Anm potrebbe oltre ai principi, enunciare i provvedimenti migliorativi, che non sono il blocco delle prescrizioni e accettare di dare seguito al referendum sulla responsabilità dei magistrati, che certo non l’hanno tutta, ma un po’ sicuramente.

Draghi non è un santo, non è l’uomo della Provvidenza, ma di certo sta cercando di fare qualcosa perché l’Italia esca dalla palude della stagnazione e della rassegnazione e cerca di farlo con l’aiuto dei partiti, compresa l’opposizione. Se questa consapevolezza si affermasse, anche l’operato del governo darebbe frutti migliori, ma questa è una speranza destinata, temo, a restare irrealizzata.

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