Il caso Delrio agita il Pd di Renzi più della nuova guerra della minoranza dem sulla tassa sulla casa.
Il ministro delle Infrastrutture è stato colui che più ha fatto per lanciare e accelerare la carriera al premier. Ha creduto in lui, ha pensato che fosse arrivato il momento della “rupture” col passato – le vecchie nomenclature uliviste – e ha dato il via libera all’ex sindaco di Firenze.
UNA STRANA COPPIA. Con tutta evidenza i due sono diversi. Il segretario dem ha costruito il suo percorso in gran parte in modo autonomo, con una propria squadra e una propria visione. Il duetto Renzi-Delrio è via via diventato un dualismo. Il premier ormai è lanciato in una avventura di carattere carismatico-personale, in ciò incoraggiato dai sondaggi. In questa prospettiva il partito politico, malgrado le rassicurazione che ogni tanto distribuisce come caramelline, non ha per lui alcun senso se non nella chiave di un gigantesco comitato elettorale in cui c’è posto per tutti.
Se stiamo alle ultime dichiarazioni con cui Fabrizio Cicchitto propone di sciogliere il gruppo degli alfaniani per confluire in una forza di centro che affianchi Renzi fino a sentirlo proprio capo, capiamo bene come il tema del giorno non sia l’adesione impossibile di Verdini al Pd, ma la nascita di un Partito della nazione fatto di piccoli pezzi di un puzle che lentamente si sta componendo.
Delrio, al fondo, è rimasto ulivista. È l’ultimo di quella generazione che Renzi non abbia ancora buttato fuori dal campo. Non gli sarà facile farlo fuori.
Dietro il ministro ci sono i sindaci, c’è un elettorato cattolico democratico, si raccoglierà la parte più ragionante della sinistra dem. Al premier resterà la sua piccola e fedelissima truppa che prima o poi si spaccherà, come è nella natura delle cose.
IL MINISTRO, ULTIMO DEGLI ULIVISTI. In questo momento Renzi ha il vento in poppa. Gli va tutto bene. E l’augurio è che continui così. Ma nessuno sa come il segretario dem saprà affrontare le difficoltà, quelle vere, quelle che si hanno quando si gioca avendo un avversario in campo e non, come in questi mesi, quando la porta in cui tirare è una sola.
Il vantaggio per tutti dell’eventuale approfondirsi della dialettica con Delrio sta nel fatto che assisteremo non alla spaccatura fra luogotenenti renziani (pensate che un giorno scriveremo di boschiani e lottiani, in riferimento alla seducente ministra e al rampantissimo sottosegretario), ma al confronto fra due diverse concezioni della politica, del partito, del potere, della sostanza del governare.
Forse diamo al ministro troppa rilevanza, ma spesso la dialettica politica va al di là della volontà e della capacità dei suoi interpreti. Il distacco di Delrio e di altri sarà la conseguenza della lenta agonia del Pd come se l’erano immaginato i fondatori, cioè la normale evoluzione dell’Ulivo.
Renzi ne vorrà fare il braccio armato di una rivoluzione dall’alto, tardo-blairiana che forse, per questo Paese per tanti anni immobile, è quel che serve. Purchè sia per poco tempo.
Da: Lettera43