La repubblica delle pensioniPer i giovani italiani colpiti dalla crisi l’unica ancora di stabilità sono i nonni

Gianni Balduzzi

I dati parlano chiaro: la povertà è aumentata, in particolare quella assoluta. Il danno fatto al mondo del lavoro è stato pagato dai precari, mentre gli anziani sono stati tenuti al sicuro dalla protezione statale, dal punto di vista economico

Nei momenti di crisi i problemi strutturali vengono a galla. Vale per le imprese, per le famiglie e vale per i Paesi. In Italia la crisi del 2020 ci ha insegnato che non conviene essere giovani, precari, poco istruiti, spesso donne. E con gli ultimi dati sulla povertà dell’Istat ha anche insegnato che ai bambini e agli adolescenti forse conviene vivere con i nonni. Ai giovani con i genitori, se anziani.

Proprio quei nonni e quei genitori anziani da cui nell’ultimo anni e tre mesi ci hanno detto di stare il più lontano possibile, per non contagiarli, per salvarli. Eppure chi l’ha fatto, chi ci è vissuto insieme se l’è cavata molto meglio dei coetanei.

I dati parlano chiaro, la povertà è aumentata, in particolare quella assoluta, ovvero quella di chi ha una spesa mensile pari o inferiore a una soglia, che cambia in base al numero e all’età dei componenti e alla collocazione geografica. Si tratta di una cifra che vai dai 504 euro per un over 75 solo di un piccolo centro del Mezzogiorno ai 2 mila euro e oltre per una famiglia di 5 componenti con tre minorenni di un centro città del Nord.

Se nel 2019 al di sotto di tali soglie erano il 6,4% delle famiglie e il 7,7% degli individui nel 2020 queste percentuali erano aumentate fino al 7,7% e al 9,4% rispettivamente. Ma la crescita, manco a dirlo, non è stata omogenea.

I più anziani e i pensionati hanno passato l’anno quasi indenni. Se dal punto di vista sanitario sono stati le principali vittime del Covid, da quello economico, come per una curiosa compensazione, le conseguenze per chi ha più di 65 anni sono state lievissime o nulle.

Il tasso di povertà, sempre assoluta, è cresciuto per costoro solo del 0,6%, dal 4,8% al 5,4%. Quello dei più giovani era già più alto, ma nonostante questo è comunque aumentato di più, di circa due punti, segnando dei record, e andando al 9,2% per i 35-64enni, all’11,3% per i giovani di 18-34 anni e al 13,5% per i minorenni.

Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto al calo piuttosto marcato del 2019, quando si erano cominciati a sentire gli effetti di alcune misure come il Reddito di Cittadinanza.

In un certo senso è ripreso quel trend al rialzo che era iniziato dal 2006, si era accentuato con la crisi del 2011-2013 ed era proseguito dopo.

Un trend che ha visto la povertà crescere da valori tra il 2% e il 3% negli anni 2000 ad altri anche 4 volte superiori, come nel caso di chi ha meno di 18 anni.

Il dato forse più stridente è appunto la stabilità quasi assoluta della curva riguardante i più anziani a confronto con le altre. Se fino al 2009 erano proprio gli over 65 i più poveri dopo le cose sono cambiate.

Dati Istat

Il motivo è chiaro: mentre le condizioni economiche di chi ormai nella grande maggioranza dei casi non lavora più sono determinate dallo Stato, che fa da scudo contro i marosi del ciclo economico, tutti gli altri sono in balia delle crisi e del mercato. E così chi più di tutti risente dell’andamento del mondo del lavoro durante una crisi, i giovani, che sono la maggioranza dei precari, vede la propria povertà aumentare, perché tanti tra di loro perdono il lavoro.

E le disuguaglianze crescono se si considerano non tanto gli individui ma i nuclei familiari.

Quelli in cui la persona di riferimento ha più di 65 anni hanno visto un incremento solo del 0,2% della povertà assoluta. E se la sono cavata bene anche le famiglie di chi ha più di 55 anni.

Molto male è andata a quelle in cui la persona di riferimento ne ha tra 45 e 54, con un peggioramento di 3 punti. La povertà dei 35-44 enni poi ha superato addirittura quella dei più giovani.

Si tratta di quei segmenti di età in cui è più probabile ci siano figli in famiglia. E per cui quindi la soglia di povertà risulta alta ed è più facile rimanerne al di sotto.

Dati Istat

Questi dati indicano anche che quei nuclei in cui oltre a un anziano vi è magari anche un giovane, vive insieme a loro, sono stati i meno toccati dalla crisi.

Con un aumento del tasso di povertà che per gli anziani in quanto individui è salito del 0,6%, poco, ma comunque più del 0,2% di incremento per quelli che sono in una famiglia. Che può sì includere solo loro, ma magari in realtà anche altri membri, spesso di età inferiore.

Del resto è più probabile che un giovane rimanga in famiglia se i genitori anziani sono più benestanti.

Dati Istat

Se fino al 2012 le coppie con 1 o 2 figli soffrivano la povertà meno o allo stesso modo degli anziani, dopo le cose sono cambiate. E ormai anche quelle che ne hanno solo uno si ritrovano in una situazione peggiore di quelle famiglie in cui c’è un solo anziano.

Per non parlare di coloro che ne hanno due, tra cui la quota di chi è in povertà ha superato il 10%, triplicando in 14 anni. Quelle poche in cui poi i figli sono 3 o più sono povere in un caso su 5. Sarà forse un caso che a essere crollati nell’ambito della nostra crisi demografica sono stati proprio i secondo e terzogeniti? È anche la conferma del fatto che per un bambino forse è meglio se c’è almeno un nonno in casa.

Dati Istat

E soprattutto la conferma che in questi anni più del lavoro, più dello Stato, ha potuto la famiglia. Avere avuto i nonni e i genitori anziani dietro come garanti “di ultima istanza” ha contato più che o avere aderito a qualche sussidio statale e soprattutto più che aver fatto i giusti studi.

Dati Istat

Neanche il lavoro salva. Se nel 2020 il tasso povertà maggiore era quello di chi era disoccupato, ma si trattava comunque di un dato uguale a quello del 2019, a essere cresciuto di più di due o tre punti, è stato quello di operai (e simili) e autonomi. Mentre quello dei pensionati è rimasto stabile.

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