Il canone televisivo è un tributo richiesto per finanziare la radiodiffusione pubblica nei vari paesi, permettendo così la trasmissione di programmi con poca o nessuna pubblicità. Tra i Paesi che hanno abolito il canone/imposta ci sono Olanda, Ungheria, Bulgaria, Spagna, Belgio fiammingo, Lussemburgo, Portogallo, Lituania, Lettonia, Polonia, Estonia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Russia e Turchia. Pagano invece il canone, ma non hanno pubblicità commerciale: Francia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia. l tributo è una prestazione patrimoniale coattiva, consistente in beni in denaro o in natura, che deve essere corrisposta allo Stato o ad un altro ente pubblico, per effetto dell’esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato o altro ente pubblico, per il soddisfacimento della spesa connessa ai bisogni pubblici. ll canone televisivo o canone RAI è un’imposta sulla detenzione di apparecchi atti od adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire del servizio.
Le entrate dello Stato derivanti da questa imposta sono devoluti direttamente alla Rai (Radiotelevisione Italiana S.p.A). Ne deriva che il canone deve essere pagato a prescindere dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire, ma per il solo fatto di essere in possesso di un apparecchio adatti alla ricezione. Il canone obbligatorio rappresenta un retaggio del passato regime fascista. Con il Regio Decreto Legge del 21 febbraio 1938 veniva infatti stabilito che: “Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento”. In quel Decreto ovviamente si faceva riferimento agli apparecchio radiofonici in quanto la televisione non esisteva, ma è rimasto invariato il carattere coattivo della norma.
Con la legge del 14 aprile 1975 n° 103 dal titolo “Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva si è attribuito alla Rai la qualifica la società di interesse nazionale e la funzione di servizio pubblico. Nella legge, al comma 3 si legge infatti che: “ Il Governo può provvedere al servizio pubblico della radio e della televisione con qualsiasi mezzo tecnico, mediante atto di concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica sentita la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
La concessione importa di diritto l’attribuzione alla concessionaria della qualità di società di interesse nazionale, ai sensi dell’art. 2461 del codice civile”. E questo carattere di servizio pubblico che con il tempo è però venuto a meno; ciò in quanto il palinsesto, oltre a scadere di qualità culturale, si è incentrato sui programmi di intrattenimento, anziché su quelli di informazione e di approfondimento della notizia; in secondo luogo, il crescente peso della pubblicità nei programmi ha sempre più assimilato il programmi Rai a quelli della televisione commerciale, la cui visione non è sottoposta all’obbligo del pagamento di un canone.
Nonostante queste caratteristiche contraddittorie la qualificazione giuridica del canone è stata sancita definitivamente dalla Corte Costituzionale attraverso la sentenza del 26 giugno 2002 n° 284 nella quale si afferma: “Benché all’origine apparisse configurato come corrispettivo dovuto dagli utenti del servizio ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di prestazione tributaria , fondata sulla legge.
E se in un primo tempo sembrava prevalere la configurazione del canone come tassa, collegata alla fruizione del servizio, in seguito lo si è piuttosto riconosciuto come imposta”. Questa sentenza, che sancisce in quanto tributo e non tassa l’obbligo del pagamento del canone, si caratterizza, a nostro avviso, per gli evidenti contenuti politici, che vanno al di la delle regole del diritto. In ogni caso riteniamo che siano sottoponibili a referendum gli articoli fondamentali della legge 103/75 che stabiliscono la natura di servizio pubblico della Rai.