La faticosa marcia dell’Unione Europea tra governi e parlamenti

bandiera ue2 big 250x154 Monti ha sbagliato nel chiedere ai parlamentari tedeschi di essere più flessibili con il loro Governo. Incidentalmente, ha sbagliato pure nel dire il giorno dopo al Wall Street Journal che con Berlusconi al governo oggi lo spread sarebbe a 1.200 punti: è vero, ma in politica contano anche i modi e i tempi di dire la verità.

Nel caso della Germania, poi, non solo è violata l’etichetta, è anche discutibile o comunque equivocabile la tesi.

È il primo errore di Monti, a riprova dell’antico detto che tutti sbagliano: l’intelligente di rado, lo stupido spesso.

E da persona intelligente, Monti ha subito chiarito il suo pensiero, parlando della “necessità di un sistematico dialogo tra governo e parlamento, poiché, nel corso di negoziati tra governi a livello di Unione Europea, può rivelarsi necessaria una certa flessibilità per giungere ad un accordo”: flessibilità che va comunque ”declinata nel solco di scelte condivise”.

Speriamo che il chiarimento basti, perché nei rapporti con la Germania non serve proprio aggiungere malumori soggettivi ai problemi oggettivi. Resta il nodo di come configurare le procedure decisionali in ambito europeo, per non venir meno alle regole della democrazia e quindi al primato dei Parlamenti nazionali ma nemmeno arrivare troppo tardi rispetto ai problemi reali. Si tratta di un tema cruciale anche in ambito nazionale, dove esistono però vari rimedi.

Il bilancio statale, infatti, è ovunque dotato di una elevata flessibilità intrinseca ( “built-in flexibility”) tramite i cosiddetti ammortizzatori automatici – tipo i sussidi di disoccupazione e le imposte sul reddito nominale – che generano effetti anticiclici senza richiedere decisioni specifiche.

Vi sono anche esperienze di ricorso alla “formula flexibility”, una specie di delega del Parlamento al Governo di attivare azioni stabilizzanti secondo criteri prestabiliti in reazione a determinati eventi. Vale poi il rimedio generale del decreto legge: il Governo decide e chiama il Parlamento a ratificare; e talvolta “forza” il Parlamento, ponendo il voto di fiducia.

In ambito europeo, c’è ampia facoltà di manovra per la Banca centrale europea quando si tratti di stabilizzare l’euro. Ma ora che la crisi impone misure nuove e forti a sostegno del debito pubblico di alcuni Stati membri, ecco che nei Parlamenti di alcuni altri Paesi si alzano minacce di veto. È prevista poi rapidità decisionale al Fondo salva stati, l’Esm, sempre che nel verdetto atteso per il 12 settembre la Corte Costituzionale tedesca convalidi l’adesione della Germania; ma la sua azione potenziale non è illimitata, come invece servirebbe; e di nuovo è tutt’altro che pacifico a livello di Parlamenti nazionali che si conceda all’Esm di ricorrere illimitatamente al credito della Bce.

Quanto alle manovre sul bilancio europeo gestito dalla Commissione europea, semplicemente non possono esistere, dato che il bilancio ammonta appena all’1 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea. È un apparato istituzionale valido per un’economia europea stabile, coesa e in costante anche se lenta crescita. Oggi , invece, c’è un’Europa in crisi, aggredita dalla speculazione finanziaria che rende i mercati mutevoli e avvantaggia la Germania mentre condanna i Paesi mediterranei a indebitarsi ulteriormente a tassi punitivi.

È ovvio che l’economista Monti invochi allora istituzioni e regole del gioco adeguate.

Prima regola tra tutte, appunto, la flessibilità, che nel contesto europeo assume un duplice significato: rapidità e ampiezza degli interventi di stabilizzazione e crescita, come a livello nazionale, e inoltre capacità di muoversi dalle originarie proposte nazionali a delibere concordate. Ma i termini usati dal Presidente Monti sono stati infelici, perché nessun Parlamento ama sentirsi al traino del Governo.

Corretto è invece parlare, come egli fa nella rettifica, di flessibilità «nel solco di scelte condivise».

È su questo versante che occorre lavorare, inducendo i Parlamenti ad approvare linee strategiche che poi consentano ai Governi e agli organismi europei di muoversi in modo rapido e autonomo.

Più facile a dirsi che a farsi, ma non ci sono alternative.

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