L’inizio dell’anno coincide con l’inizio della fase due dell’opera di ripartenza economica italiana, auspicata da Mario Monti e dalla sua squadra di governo. Non poteva certo mancare, in questo secondo capitolo, una storica riforma delle politiche sul lavoro e welfare, che chiama in causa sindacati, imprenditori e partiti politici.Il ministro del lavoro Elsa Fornero inizia il 4 gennaio un giro di consultazioni con le tre sigle sindacali più rappresentative, partendo dalla CGIL, proseguendo il 9 con Bonanni e Angeletti. Dando così un forte segnale di discontinuità, rispetto al governo precedente, di distensione tra esecutivo e mondo del lavoro. Sia i temi da trattare, che il momento, sono molto delicati, c’è in gioco la pace sociale e anche Susanna Camusso se ne sta rendendo conto. Mercoledì tocca poi a Confindustria, con una visione vicina a quella di Napolitano. Il 4 gennaio sono stati pubblicati i dati Inps, relativi agli ammortizzatori sociali del terzo trimestre, che hanno visto un calo del 20,8% delle ore di cassa integrazione, ma con un aumento delle domande di disoccupazione del 2,7%, con una spesa di rifinanziamento che è passata da 10,7 mld nel 2008 a 20,4 nel 2010.Questo significa che la disoccupazione, a ritmi incostanti, cresce e che solo una parte dei lavoratori ritorna in fabbrica, mentre altri diventano disoccupati. Senza calcolare che sono in corso nuove vertenze aziendali (230), per un totale di 300 mila lavoratori che potrebbero trasformarsi in nuovi cassintegrati. Oltretutto una fetta enorme di forza lavoro non tutelata dagli ammortizzatori sociali, non rientra nelle statistiche sopracitate. Una situazione a tinte fosche, insomma, che ha creato forte preoccupazione nel trovare una soluzione anche da parte di chi finora non ha mai voluto fare un passo indietro,sollecitato dal monito di Napolitano, che ha preso come esempio l’accordo aziendale tra le parti siglata il 28 giugno dello scorso anno. Sul tavolo ci sono diverse proposte avanzate dalle sinistre e dai sindacati, tutte rivolte ad estendere gli ammortizzatori senza esclusione di categoria, coinvolgendo anche il lavoro flessibile, con un modello di protezione che determinerà si un costo maggiore, ma anche un diritto sacrosanto. Si va dal disegno di legge Nerozzi-Boeri-Garibaldi sul contratto unico d’ingresso in cui il lavoratore viene assunto per tre anni in prova per poi passare all’assunzione vera e propria, scudata dall’art.18. Nel primo triennio un basso costo di licenziamento favorirebbe l’accesso dei giovani al mondo professionale, così l’azienda avrà il tempo necessario per conoscere il nuovo dipendente. Altra proposta viene dal senatore Pietro Ichino,ben più complessa e liberale, che prevede sempre la pre-assunzione triennale a basso costo per l’azienda in termini di trattamento complementare di licenziamento, poi l’assunzione a tempo indeterminato, ma senza l’onere implementato dall’articolo 18. Nel caso di licenziamento, dal terzo anno in avanti, sarà l’impresa stessa ad attivare un sistema di outplacement, cioè di ricerca di nuova occupazione, previo periodo di formazione professionale mirata, il cui costo comunque sarà sempre più contenuto che dal protrarsi della disoccupazione. La ricerca intensiva di nuova occupazione, secondo Ichino, avverrebbe sotto il coordinamento di un tutor designato dall’impresa, la quale avrà l’obbligo del trattamento complementare e del costo della ricerca, mentre al lavoratore spetterà la disponibilità a cooperare in questo senso. Il Pd è spaccato in due: da una parte Bersani, più blando nel prendere posizione, limitandosi a dire ,come del resto la Camusso, che gli ammortizzatori sociali vanno estesi ( con i costi raddoppiati in due anni, equivalenti ad una manovra finanziaria?), e dall’altra l’ala riformatrice di matrice veltroniana, maggiormente vicina ad Ichino. Tutto questo bagaglio di proposte si concentra su licenziamento e sulla cassa integrazione per logiche di organizzazione aziendale. Nessuno si occupa del licenziamento per motivi disciplinari, vero tallone d’Achille della piccola impresa, cuore pulsante dell’economia italiana, la quale, se osa disfarsi di un dipendente lavativo, inizia un vera e propria odissea burocratica e legislativa, che può durare anche un decennio. Senza venirne a capo, se non dopo essersi dissanguati per il reintegro del dipendente e in alcuni casi estremi, portati a rischio fallimento, come ad esempio è capitato ad una imprenditrice di Treviglio, Antonia Lavelli. Un’impresa di 500 dipendenti può permettersi di mantenere un paio di cariatidi in organico, non ha interesse a iniziare procedure giudiziarie contro di esse. Tanto il lavoratore indisciplinato sa già che, prima o poi, in un grado di giudizio, troverà il magistrato compiacente. Oggi troppo è lasciato alla soggettività del giudice!
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