La democrazia è finita? Certo è cambiata e se ci si riferisce alla sua versione “classica,” quella borghese, è in via d’ estinzione. L’asserzione è forte, ma le regole che reggono la liberal democrazia sono principalmente tre: elezioni libere, ovviamente a suffragio universale e con una vera competizione tra forze politiche diverse, non possibile senza una libera stampa. Uno Stato che governa e garantisce sicurezza e benessere ai suoi cittadini e infine, uno Stato di diritto, dove la legge è uguale per tutti, ricchi e poveri, potenti e umili. Non basta a reggere una democrazia l’esercizio del voto, altrimenti Russia, Turchia, Colombia sarebbero democrazie compiute. Non basta neppure l’economia di mercato, altrimenti la Cina sarebbe una democrazia. Purtroppo anche la “democrazia” per eccellenza, gli USA, pur restando una liberal democrazia e una economia di mercato( le due condizioni viaggiano assieme), stanno sempre più assumendo i caratteri di una oligarchia. In primo luogo perché la globalizzazione ha creato una classe di super ricchi, come in Cina e Russia, aumentando nel contempo i poveri e riducendo drasticamente il peso economico e quindi politico, del ceto medio. In secondo luogo, anche la democrazia americana sta diventando sempre più dinastica e prigioniera dei finanziamenti dei grandi ricchi, questa sarà la campagna elettorale più costosa di sempre. I due competitors dovranno sborsare, per giocare la finale, un miliardo di dollari a testa, ciò farà contare sempre di più i grandi finanziatori, come i fratelli Koch per i Repubblicani e Soros per i Democratici. Dalla democrazia borghese, alla democrazia patrimoniale. In Europa esistono democrazie sostanziali, come quelle del nord e formali come anche la nostra, che non riesce a scrollarsi di dosso la corruzione, l’inefficienza della pubblica amministrazione, il clientelismo e il nepotismo, mali endemici anche nella Russia di Putin e nella Cina. Può esistere una vera borghesia, senza meritocrazia? La risposta è no, la meritocrazia è l’ascensore sociale, non a caso anche in America l’ascensore si è rotto, perché i ricchi preparano i loro figli a competere già dall’asilo e la gara è falsata dal doping del denaro. Da noi la gara non è neppure cominciata, se uno studioso come De Rita, ad esempio, trova assolutamente normale nominare il figlio al suo posto. Per queste ragioni non c’è da stupirsi in società come la nostra, dove il 10% della popolazione detiene metà della ricchezza, dove l’istruzione degrada, dove l’informazione è per lo più televisiva o fornita senza controllo, più che dalla rete tout court, dai social, non c’è da stupirsi, dicevamo, se i votanti calano, mentre aumenta chi è disposto a vendere il voto. Così la borghesia liberale, magari anche un po’ superata, viene sostituita da una burocrazia pubblica, spesso complice delle furfanterie della politica, a cui deve le sue fortune e le sue carriere, a volte automatiche, come nell’Esercito e nella Magistratura. Todos caballeros. Questo circuito di impoverimento delle masse, si sarebbe detto una volta, diviene inevitabile, appoggiati come siamo alla old economy, dove vivi se produci a meno, che per noi vuol dire paghe più basse, o più automazione e meno occupati. I partiti sono morti da tempo, diventando scatole elettorali, il dibattito è tutto in TV, le scelte guidate dai sondaggi o dalle grandi istituzioni sopranazionali. In questo quadro, prima Berlusconi, poi Renzi sono figli dei tempi, che richiedono one man, one show, una volta detto” l’uomo della Provvidenza”. Per consolarci diremo che c’è del marcio anche in Danimarca, cioè nelle Repubbliche della democrazia avanzata, dove crescono i partiti della destra xenofoba. Forse la democrazia borghese non è morta, ma di sicuro vive una vita di stenti.
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