Prima la televisione, poi Il ciclone internet hanno cambiato il mondo e anche la democrazia borghese, fatta di comizi, dibattiti, votazioni parlamentari, è finita, con tutto il suo rituale, tra le anticaglie. Le prime avvisaglie si erano avute con il salotto di Bruno Vespa, eletto a terza Camera, poi il dibattito parlamentare si è trasferito nei talk show televisivi, sempre più numerosi e rissosi: il regno della cagnara, della balla atomica, della promessa astronomica, una versione in peggio di Uomini e Donne della De Filippi. Insomma, la nuova frontiera della democrazia è diventata il tubo catodico, dapprima con le veline ai Tg, poi, scoperto che Tg e talk non li guardava più nessuno, se non parlavano di cronaca nera, meglio se con contorno di perversione sessuale, o di sport, il “dibattito” si è trasferito alla quarta Camera, da Barbara D’Urso. Lì Matteo, come lo chiama Barbarella, che sarebbe poi il nostro Primo Ministro, non un reduce dall’Isola dei Famosi, ha tenuto il suo discorso alla nazione. Abbiamo fatto le riforme, c’è la ripresa, abbiamo abbassato le tasse, riformato il codice della strada e, tranquilli, non andremo in guerra. Ora, da uno che ci ha abituato a governare con i tweet, un discorso di mezz’ora dalla D’Urso è già molto, ma un post su Facebook ai parlamentari, ce lo aspettavamo, almeno sul fatto che non andremo in guerra. Però forse era inutile, visto che in guerra ci siamo già, in Afghanistan, Libano e Iraq, dove andremo anche a proteggere i lavori dell’impresa Trevi, alla diga di Mosul. Inoltre il Premier, che ha plaudito alla liberazione dei due dipendenti della ditta Bonatti e non ha fatto neppure una telefonata alle famiglie dei due uccisi, perchè nella sua narrazione, le cose che finiscono male, semplicemente non esistono: si è chiesto, un po’ nervoso, chi li avesse mandati. Magari la Bonatti, che fa lo stesso lavoro della Trevi e in Libia ci sono parecchie aziende italiane, compresa l’Eni, così cara al premier. Insomma, prima chiediamo il comando della missione, poi nel salotto di Barbarella facciamo sapere al mondo che non andremo, mentre gli alleati sono già sul terreno. Ora, nessuno ha una particolare voglia di combattere, ma vorremmo che la decisione la prendesse il Parlamento e che pure Mattarella, capo delle Forze Armate, si facesse sentire, magari dalla D’Urso. Insomma, Tweet, primarie in rete, comparsate in programmi nazional popolari, tra lacrime di mogli tradite, figli disconosciuti, attrici in miseria, oppure tra un omicidio e l’altro, la politica è come la pubblicità, ti fa cambiare canale. Ci sarebbe da dire che la narrazione renziana è verosimile, ma non del tutto vera, i dati ci dicono che l’emigrazione giovanile è aumentata del 30%. Il Premier dice che non tutti i giovani che se ne vanno sono premi Nobel, ma generalmente sono i più intraprendenti, con miglior spirito di adattamento e sicurezza della propria professionalità, si tratti di manager o camerieri, di insegnanti o di carpentieri. Di questo passo, ciò che non potè il jobs act, potrà l’emigrazione. Si potrebbe dire che la buona scuola non si fa mandando in cattedra tutti, la botte vecchia non dà buon vino, infine si potrebbe anche obiettare che tutti sono capaci di far quadrare i conti, indebitandosi.
Poi non è che un Premier che fa il comico da Barbarella ci sorprenda, avendone già avuto uno che raccontava pessime barzellette. Nonostante tutto, continuiamo a coltivare il sogno, o meglio l’illusione, di non vivere in una democrazia del tubo.
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