Per molti giorni il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ed i suoi ministri ci hanno ricordato che la situazione economica è drammatica, che i risparmi degli italiani sono a rischio, che l’Italia rischia di diventare come la Grecia.
Personalmente, ho l’impressione che questa rappresentazione drammatica della situazione economica italiana sia del tutto irrealistica e legata ad un obiettivo prioritario: far digerire agli italiani, ad ogni costo, il boccone amaro della manovra, anche a costo di ricorrere alle bugie. Non esistevano i presupposti per sostenere che i risparmi dei cittadini depositati nelle banche fossero a rischio: le grandezze fondamentali dell’economia italiana, quali il PIL, gli investimenti, il consumo, il risparmio ed il reddito, sono rimaste sostanzialmente invariate nell’ultimo triennio. Le banche italiane, dal dopoguerra in avanti, sono state soggette a costanti controlli della Banca d’Italia; controlli che impediscono un uso discrezionale dei depositi bancari da parte delle banche stesse. Inoltre il risparmio privato italiano si è sempre mantenuto alto.
Secondo uno studio delle ricchezze delle famiglie, pubblicato dalla Banca d’Italia nel dicembre 2009, negli ultimi 14 anni la ricchezza delle famiglie è cresciuta costantemente, passando da 4212 miliardi del 1995, a 8414 miliardi di Euro nel 2007.
Nel 2008 il ciclo si è interrotto e si è registrato un calo dell’1,9 per cento che ha portato a 8283 miliardi di Euro l’ammontare complessivo della ricchezza delle famiglie: un valore in calo, ma molto superiore a quello degli altri Paesi europei.
Considerando che il debito pubblico italiano ammonta a circa 1900 miliardi di Euro, si ricava che tale debito è ancora largamente inferiore all’ammontare complessivo del risparmio privato.
Inoltre, a differenza della Grecia, l’Italia non rischiava l’insolvenza, stante il valore complessivo del risparmio privato, ammesso che lo stato effettivo dei bilanci delle banche sia quello ufficialmente dichiarato. Il problema, semmai, è quello di una carenza di liquidità, sulla base della quale le banche hanno giustificato la stretta creditizia al consumo ed alle imprese; stretta creditizia che ha contratto drasticamente lo sviluppo economico.
Vedremo ora come si comporteranno le banche, dopo che la Bce ha destinato loro fondi per 110 miliardi di Euro; un prestito con scadenza a tre anni, ad un tasso di favore dell’1 per cento.
Gli analisti temono che le banche impieghino i fondi Bce per rafforzare il proprio patrimonio, anziché finanziare l’economia.
Oggi i politici tendono ad addebitare al debito pubblico tutte le responsabilità dell’attuale crisi, trascurando le responsabilità delle banche e della speculazione finanziaria.
In realtà, la spesa pubblica, in se, non è un male se, oltre alla spesa sociale, è destinata anche a scopi produttivi, a creare lavoro ed a favorire lo sviluppo economico, come sostenne l’economista John Maynard Keynes dopo la grande crisi del ’29 negli Stati Uniti.
La manovra in corso invece si ispira, prevalentemente, alla dottrina economica dei monetaristi e di Milton Friedman; dottrina fondata sulla limitazione della circolazione monetaria, allo scopo di contrastare l’inflazione e quindi garantire la stabilità dei prezzi: ne deriva l’obiettivo prioritario del pareggio di bilancio, da realizzarsi attraverso la contrazione della spesa sociale e degli investimenti, anche a costo di indurre recessione.
Quello che comunque danneggia l’economia è una spesa pubblica improduttiva, che ha come scopo prevalente quello di finanziare le clientele e l’assistenzialismo.