La corruzione si sconfigge liberalizzando – C. Lottieri

corruzione Perché per cambiare davvero è necessario restringere al massimo l’area d’intervento dello Stato

Con una frequenza che può sorprendere solo gli ingenui, la cronaca è periodicamente costretta a dedicare spazio alla corruzione. Stavolta nell’occhio del ciclone c’è l’Anas, ma in precedenza era toccato ad altre strutture pubbliche.

Le proposte formulate dai vari schieramenti al fine di eliminare questa piaga lasciano il tempo che trovano, dato che ognuno tende a rappresentare se stesso come puro e l’altro come corrotto, limitandosi a proporre un ricambio del personale.
Più di tutti interpretano tale schema manicheo quanti incanalano il voto populista: come fa il Movimento Cinque stelle, che denuncia senza sosta la casta dei corrotti e propone l’avvento di un ceto politico nuovo.

Non si vuole insomma capire che per uscire dal diffuso malaffare è necessario introdurre una netta separazione tra politica ed economia, sottraendo allo Stato ogni possibilità di gestire e regolare la vita produttiva. Se davvero vogliamo che mai più in futuro quanti costruiscono le strade paghino mazzette all’Anas è indispensabile che quelle infrastrutture siano realizzate dai privati e sul mercato. Cosa fanno un politico corrotto o un burocrate disonesto? Dispongono di denaro non loro e l’usano per arricchirsi. L’Anas costruisce strade, ma lo fa grazie ad appalti che assegna a privati. Questo non ha senso. I politici si fanno pagare per concedere incarichi e i burocrati per accelerare i pagamenti, ma la loro intermediazione è ingiustificata. Chi vuole eliminare la corruzione deve allora privatizzare e liberalizzare quanto più sia possibile, perché ogni risorsa pubblica è un’opportunità per i disonesti e ogni potere regolatorio consente di costruire fortune e distruggerle, poiché è spesso sfruttato dai più spregiudicati.

Un’analisi realista dei meccanismi che governano le società ad alto intervento statale ci dice che di norma i nostri migliori concittadini non vanno a collocarsi dove l’arbitrio di un politico e di un funzionario sono in grado di decidere su ingenti somme di denaro pubblico. Al contrario, quelle posizioni attirano primariamente le persone senza scrupoli proprio come il miele attira le mosche. Nel Vangelo di san Giovanni c’è un episodio in cui Giuda si manifesta contrario a «sprecare» olio profumato a favore di Gesù. L’argomento usato da colui che tradirà Cristo è che con quei soldi si sarebbero potute aiutare molte persone bisognose, ma l’evangelista è spietato nell’evidenziare le vere ragioni: «Questo egli disse non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e siccome teneva la cassa prendeva quello che vi mettevano dentro». Anche nella piccola comunità dei primi apostoli, insomma, una selezione perversa aveva portato il peggiore a prendersi cura dei soldi di tutti. Si può continuare a invocare una nuova etica pubblica, come fanno Matteo Renzi e Sergio Mattarella: in attesa del prossimo scandalo. Ma se si
vuole cambiare davvero è necessario restringere al massimo l’area d’intervento dello Stato. Ne soffriranno solo i molti Giuda in circolazione.

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